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Giovedì 10 Novembre 2011 - Libertà

«Africa, un fratellino da aiutare»

Il giornalista Rai Enzo Nucci ieri sera in Fondazione ha lodato i missionari «Figure meravigliose che riescono a far arrivare gli aiuti a chi ha bisogno»

Emergenza Corno d'Africa, la regione devastata da siccità, carestia e guerre. E il mondo sta a guardare, indifferente alla morte di centinaia di migliaia di esseri umani che nulla possono da soli.
Ne ha parlato ieri sera all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano il giornalista Enzo Nucci, dal 2006 corrispondente della Rai da Nairobi, la capitale del Kenya, su invito dell'associazione Amici di Lengesim di Piacenza. Incalzato dalle domande di Gaetano Rizzuto, direttore di Libertà, e con l'ausilio di alcuni documentari passati sul settimale del Tg1, Tv7, il giornalista ha affrontato il tema mettendo in luce le valenze geopolitiche che rischiano di destabilizzare l'area, le speranze dei giovani a partire da quel «grande ed emozionante evento che ha lasciato il segno nella comunità internazionale di Nairobi: il concerto del maestro Riccardo Muti» lo scorso mese di luglio e dirigendo «ad un certo punto 500 persone, oltre ai suoi musicisti, i ragazzini di padre Kizito e il pubblico».
Il Corno d'Africa, «un'area dove si giocano le sorti del mondo - ha spiegato Nucci -, è suddiviso tra Etiopia, Eritrea, Somalia e Kenya, dove le piogge regolari mancano da tre anni». La sordida guerra che da 20 anni insanguina la Somalia e le prossime elezioni del Kenya rischiano di incendiare ulteriormente l'area sulla quale si gioca anche una guerra commerciale tra Occidente e Cina. Intanto l'esercito keniano «con tremila uomini è intervenuto in territorio somalo per l'operazione di "pulizia militare" dopo i rapimenti di alcuni turisti stranieri che hanno fatto crollare la più importante industria del paese». Una regione dove la solidarietà arriva in spiccioli: «Come ha denunciato una giornalista olandese ad un euro di aiuti disposto ai destinatari ne arriva il 30%».
Il dramma delle popolazioni è stato espresso con efficacia dal documentario "La grande sete" girato fra i turkana, popolazione del nord del Kenya falcidiata dalla mancanza di cibo e acqua «dove si vive con meno di un euro al giorno».
E allora si muore. Questo succede nel più vasto campo profughi del mondo «A Dadaab, nel sud del Kenya, vivono 400mila persone ed era stato costruito per 90mila, c'è da 20 anni».
Come fare per aiutare? «Noi giornalisti abbiamo il dovere di far conoscere queste cose, e poi bisogna sapere bene a chi dare i soldi. I missionari sono l'unico punto di riferimento per quelle popolazioni, figure importantissime, meravigliose, che agiscono in semplicità, vanno aiutati per aiutare gli altri».
E poi ci sono tanti giovani che ingrossano gli "slum", le baraccopoli. «Una pentola che bolle, bambini soldato che al ritorno faticano a reintegrarsi. Ma fra loro e nelle periferie ci sono tanti esempi bellissimi, un ragazzino raccolto da padre Kizito (che era in sala) ora studia medicina a Pavia, altri hanno creato un softwar utilizzato nel mondo». Esempi che sono la speranza.

mvg

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