Giovedì 10 Novembre 2011 - Libertà
Innominato, una crisi annunciata
Promessi Sposi: in Fondazione efficace lettura di Placido
piacenza - «Nei Promessi sposi i piani degli uomini vengono continuamente ironizzati da una trama superiore che li annulla o li porta a compimento, ubbidendo a un'altra logica, che è sempre di tipo superiore». Salta il rapimento di Lucia architettato da Don Rodrigo, ma anche la missione di salvezza messa a punto da padre Cristoforo, che riteneva un rifugio sicuro il convento di Monza.
Renzo nel frattempo riesce a farsi bandire dal ducato di Milano e Lucia, pronunciando il voto di castità, pone l'ostacolo più grave al matrimonio tanto desiderato. «Sia Renzo che Lucia si trovano ad agire contro sé stessi» ha esemplificato il docente universitario Pierantonio Frare (Università Cattolica), che ha introdotto il penultimo appuntamento del ciclo di Letture dei Promessi sposi all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, prima di lasciare la parola all'attore Gerardo Placido, che ha dato voce e sentimenti al capitolo XXI del romanzo.
Frare ha intitolato l'incontro, incentrato sulla notte dell'Innominato, Comandare e ubbidire oppure Padroni e servi, con riferimento al binomio evangelico. La sua analisi ha preso in esame il blocco dal capitolo XVIII al XXI compreso, ossia «il centro topografico del romanzo», dove don Rodrigo si impegna nella rimozione degli ostacoli che gli impediscono di impadronirsi di Lucia, incaricando l'Innominato di strapparla dal convento. Però «il contatto tra la fanciulla perseguitata e il suo rapitore per procura accentua la crisi esistenziale dell'Innominato e prepara quella conversione che sarà sancita in seguito al colloquio con il cardinale. Il progetto di don Rodrigo viene vanificato proprio a un passo dal successo definitivo, in quella che in termini aristotelici si definirebbe una peripezia».
Il testo in cui compare l'Innominato - ha osservato Frare - è percorso da «una costellazione del dominio» sulle cose e sulle persone. Il sinistro individuo è dunque raffigurato come colui che comanda, «ma il narratore insinua che la sua condizione sia quella del servo, sia perché esecutore degli ordini di don Rodrigo, sia in senso più esistenziale: la decisione dell'Innominato risulta tutt'altro che libera. È eterodiretto, comandato da fuori».
C'è però una cognizione del bene, che per il Manzoni è innata nell'uomo: «Si manifesta in tutti e in tutte le occasioni». Obbedendo a una voce interiore, l'Innominato riconosce la sua servitù. Riuscirà così anche a contrastare la foscoliana idea del "nulla eterno" che gli si affacciava nella mente, finendo per inchinarsi alla croce, in analogia con il Napoleone del Cinque maggio, prostrato davanti al «disonor del Golgota».
Prossimo appuntamento, che conclude il ciclo, oggi pomeriggio alle 18 in via Sant'Eufemia 12, con il capitolo XXXV, la vendetta e il perdono: introduce Monica Bisi, legge Domenico Sannino.
Anna Anselmi