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Lunedì 4 Luglio 2011 - Libertà

Festival di teatro antico Successo a Veleia per Maddalena Crippa in scena con l'orchestra "Carlo Coccia" diretta da Fabrizio Dorsi

di DONATA MENEGHELLI
Una rarità. Il pubblico del primo appuntamento del Festival del teatro antico di Veleia, ha assistito sabato sera a qualcosa di raro e prezioso. Un'esecuzione non consueta, su un mito celeberrimo, ha aperto la rassegna diretta da Paola Pedrazzini: il melologo Medea di Benda, compositore boemo contemporaneo di Mozart. Il Settecento recuperò miti tragici dell'antichità come quello della maga della Colchide, che uccide i figli per vendicarsi di Giasone, colpevole di averla ripudiata ed esiliata.
Ad eseguire la partitura di Benda, l'orchestra sinfonica "Carlo Coccia" di Novara (intitolata al compositore napoletano che divenne maestro di cappella del duomo di Novara, e che si dedicò sia alla musica sacra sia alla produzione teatrale): 35 elementi, diretti per l'occasione dal maestro Fabrizio Dorsi, musicologo, diplomato in composizione, direzione d'orchestra e musica corale e oggi alla guida del Conservatorio "Nicolini" di Piacenza.
Ma il melologo è fatto anche di parola: a dar voce a Medea è la splendida interprete Maddalena Crippa, che conosce bene la musica (dall'operistica al recital, fino alle recente tour sul teatro-canzone di Gaber) e che conosce Medea, avendola fatta rivivere in più occasioni, come al festival del teatro greco di Siracusa. La Crippa è ideale per questa produzione veleiate (resa possibile dal sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano): possiede tecnica musicale e forza recitativa. Sa rendere al meglio, anche nella staticità che prevede un genere come il melologo, ciò che percorre la tragedia di Euripide: paura, eros, sacrificio, ribellione.
Prima ancora che gli orchestrali accordino gli strumenti, prima che la musica risuoni, il pubblico è già conquistato dall'impatto visivo dei 35 elementi schierati nell'antico foro romano, e moltiplicati da due maxischermi su cui scorrono immagini caratterizzate dallo stesso dinamismo che sarà proprio della musica. Viole, violini, violoncelli, contrabbassi, fiati, flauti, oboi, corni, trombe, timpano. E il clavicembalo, strumento che venne utilizzato fino all'Ottocento, proprio per l'accompagnamento dei recitativi. Il direttore d'orchestra, accolto dal benvenuto del numeroso pubblico accorso, sale su quello che fu basamento di una statua del Foro e che ora gli fa da podio. A fare da sfondo, le antiche colonne.
Si eseguono due brani sinfonici dalla Medea di Luigi Cherubini (capolavoro del 1797, definito da Brahms la "vetta suprema della musica drammatica"): l'Ouverture e il Temporale. Poi entra - imponente e autorevole - la protagonista, in un raffinato abito bianco dalla fattura maschile. La Crippa si pone di fronte al leggio. Legge la musica e incastona le sue parole come perle nella partitura musicale della Medea di Benda, che influenzò ed entusiasmò Mozart.
La storia di Medea è nota, ma Crippa la ricorda al pubblico. Poche parole e per ciò stesso potenti. Una sintesi scarna, che farà da contrappunto alla preziosità e alla ridondanza del testo (scritto da Friedrich Wilhelm Gotter). Si crea un effetto di straniamento. La musica non è cupa, come lascerebbe presagire la storia dell'uccisione dei figli per mano dell'esecrabile madre. E' invece un crescendo d'ira, che - prima compressa e frammista a nostalgia e ripensamento - poi si libera e compie il volere del fato.
"Imploro vendetta, vendetta sopra il capo di Giasone". Queste parole senza la musica sarebbero nude. Le parole del recitativo qui non si sovrappongono alla musica, ma è come se prendessero corpo da essa, già capace di aprire al mistero dell'animo umano, così gravido di passione, odio e amore. "Che odio quanto amo - dice Medea - Volo ai venti in dorso. Infelice possanza". E' maga, potente dominatrice, ma misera madre e donna abbandonata: "Gli elementi obbediscono alla mia voce, ma Giasone neppure l'ascolta". La musica si insinua tra le pieghe della sua mente e lei concepisce la vendetta, guidata dalle Eumenidi, le Furie. Immagina Giasone nel tormento, ramingo, squallido spettro: "Tu'l vedi Medea, e muori di gioia", dice a se stessa. Il recitativo è quasi per intero un monologo interiore, anche se in alcuni passaggi - i meno efficaci - si inseriscono le voci dei bambini e della nutrice. L'uccisione dei figli arriva come un imperativo interiore a Medea. La potenza della musica si libera proprio quando riesce a compiere la vendetta. Il momento più alto e più tragico è quello in cui Giasone vede i figli senza vita. "Conducetelo qui, trascinatelo qui". Il ritmo è incalzante. Poi si chiude - improvviso - sulla fine dello spergiuro Giasone e il trionfo di Medea sul carro del Sole.

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