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Mercoledì 1 Giugno 2011 - Libertà

Piacenza diventa "famiglia" stretta intorno all'hospice

Inaugurata la Casa di Iris per i malati più fragili. «Opera unica, voluta con la massima condivisione da tutta la nostra gente»

La fragilità del fiore iris è la delicatezza del malato, ma c'è la forza di tutta una comunità a simboleggiare lo scudo protettivo. I piacentini, come una brava famiglia, si stringono intorno al figlio più debole. Che potrebbe essere ciascuno di noi.
In questa immagine si racchiude il senso dell'opera-segno più importante degli ultimi anni, perché di fronte al taglio del nastro dell'hospice piacentino, ribattezzato la Casa di Iris, la commozione non è retorica, l'empatia dei tanti convenuti, semplici cittadini e autorità, ha il sapore di una storia condivisa, nelle case, nelle corsie d'ospedale, nei momenti di felicità struggente accanto alle persone amate e vulnerate dalla malattia. E ci vuole una bottiglia di spumante che fa il botto - insolito viatico per un luogo di cura - stappata dal sindaco dopo il "taglio del nastro", come quando si vara un transatlantico, per regalare un momento fra i più veri. Cura, ma anche vita. E nessuna rinuncia alla pienezza dell'esistenza anche quando ci si trova a navigare nei mari estremi, come ha scritto Lalla Romano.
L'hospice ieri si è presentato alla città, basso e amichevole come un nido d'infanzia, con i suoi muri color giallo becco d'anatra, il prato, gli alberelli che cresceranno, le stanzette bianche per l'ospite malato e un suo familiare, le tende arancioni e i mobili di legno chiaro, i quadri di tulipani e margherite alle pareti, le vedute di Parigi e di Lisbona nel salottino comune; si presenta con la forza di un luogo necessario, da cui si misura la dignità di tutta la collettività unita nel bene e nel male, nell'allegria e nella sofferenza, nello spirito e nella carne. Una famiglia.
«Ce l'abbiamo fatta» esordisce il sindaco Roberto Reggi, presidente dell'associazione "Insieme per l'Hospice" che dà a quest'opera un valore unico, fra le tante realizzate durante il mandato, perché rende la città «mai più uguale a prima» e dimostra che quando Piacenza «vuole una cosa» la ottiene con il massimo della condivisione. E' un'opera plurale. Per molti aspetti. Coinvolge pubblico e privato. Mette alla prova la sanità e i volontari, ha fatto sedere allo stesso tavolo Comune e Provincia, Fondazione di Piacenza e Vigevano e Diocesi, Camera di Commercio e Lilt, Confindustria e Associazione Malato Oncologico, Caritas e Federimpresa, Associazione Amici dell'Hospice e di Borgonovo e Comune stesso di Borgonovo.
Un concorso di energie che nel volgere di una manciata di anni diventa "hospice", il primo progetto bandiera di Vision 2020, incuneato nella zona in diveniredella Madonnina.
«E' l'opera più importante del mio mandato - ripete il sindaco - non per la struttura ma per come ci siamo arrivati, ora è un luogo di speranza, di umanità, di professionalità, di supporto psicologico, spirituale e sociale al malato». Malato che qui potrà vivere una condizione quasi domestica, ma assistita ai massimi livelli e magari tornarsene a casa sulle proprie gambe, una volta superata la fase critica. Parla molto di «speranza» il vescovo Gianni Ambrosio. Perché è proprio quando la vita si fa più fragile e le debolezze più acute che conta la speranza, quello specialissimo senso di alleanza con chi ci accompagna e ci accoglie nel momento difficile. Per il presidente della Regione Vasco Errani in gesti simili «si dà riconoscibilità alla comunità». E Piacenza, che non ama «i toni alti» con il suo passo «fa le cose», così ci gratifica il presidente. Da qui l'apprezzamento per questo nostro understatement che arriva a segno. Il presidente della Provincia, Massimo Trespidi, rende la sua testimonianza su quanto stesse a cuore l'hospice: «Me ne ha parlato Reggi nella prima telefonata dopo la mia elezione e io gli ho risposto che saremmo andati avanti insieme». Perché a conti fatti ci sono voluti una decina d'anni per arrivare alla struttura della Madonnina (e due amministrazioni provinciali). «Sono orgoglioso di far parte di questa squadra, segno di coesione territoriale» dice oggi Trespidi.
Ad Andrea Bianchi, manager dell'Ausl, oltre ai sentimenti di gioia, tocca un ruolo giustamente più tecnico e il tema all'ordine del giorno è la promozione delle cure palliative, che contrastano il dolore. Per riuscirci è necessario che tutti lavorino insieme, medici di famiglia, medici ospedalieri, infermieri. Una vera rete che limiti il danno della sofferenza.
Ed esprime il suo orgoglio anche Carlo Tedaldi, presidente del Consorzio Cooperativo Iris, che in undici mesi ha completato il cantiere, forte anche della collaborazione con gli ordini degli ingegneri e degli architetti e già pronto a «dare un'anima» a questa struttura fisica, che ora esige l'operosa vitalità di figure professionali competenti. Da ultimo, la parola passa a Fausto Fiorentini. Lo scrittore parla di un tassello fra i più nobili, quello del volontariato, dei familiari, che qui potranno assistere i propri cari anche dormendo nella stessa stanza all'occorrenza portandosi il lavoro (ogni spazio è cablato e consente l'uso di Internet). Specialmente questo luogo, dice Fiorentini, diventerà un laboratorio di umanità, dove la società può verificare il suo rapporto con i temi fondanti dell'esistenza e della relazione fra persone.
L'hospice è pronto a partire. I primi ospiti potranno entrare nella Casa di Iris già a metà del mese di giugno, una volta completato in tutti i suoi risvolti il processo di accreditamento sanitario. Già familiari sono stati a visitare gli spazi. La casa è piaciuta. Certo il quartiere deve essere riordinato, la segnaletica dovrebbe favorire l'accessibilità, ma con la città che cresce da una lato, il grande centro commerciale e il campanile sullo sfondo, non si ha l'impressione che qui ci si possa sentire soli.

Patrizia Soffientini patrizia.soffientini@liberta.it

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