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Mercoledì 1 Giugno 2011 - Libertà

Domani sera all'auditorium della Fondazione il secondo incontro del ciclo "Altronovecento" promosso dall'associazione Cittàcomune

di ANNA ANSELMI
Per il ciclo "Altronovecento", promosso dall'associazione politico-culturale Cittàcomune, domani alle 21 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via Sant'Eufemia 12, verrà presentato il volume Il viaggiatore leggero (Sellerio) che raccoglie gli scritti di Alexander Langer dal 1961 al 1995, anno della tragica scomparsa, suicida, a Firenze.
Pioniere dell'ecologismo in Italia, eletto a diverse cariche istituzionali fino alla presidenza del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo, Langer si è speso in un impegno sociale e civile totalizzante, che lo ha portato anche a riflettere su temi cruciali, che risultano ancora fondamentali per leggere il presente. Interverranno: Lanfranco Bolis, compagno di militanza di Langer, Gianni D'Amo, di Cittàcomune, e Goffredo Fofi, critico cinematografico che ha fatto parte del "triumvirato direzionale" di Quaderni piacentini e ora dirige il mensile Lo straniero.
Fofi, autore dell'introduzione a Il viaggiatore leggero, ricorda così il suo incontro con Langer, per lui «innanzitutto un amico. Era nell'area di Lotta continua, alla quale ero vicino, pur non essendo mai stato un militante nell'organizzazione. Di quel gruppo Alex era il più singolare e affascinante, perché era il meno barricadero, il più sensato e il più profondo; credo anche per motivi di nascita: metà italiano e metà tedesco, metà ebreo e metà cattolico. In più ha avuto la fortuna di essere, direttamente o indirettamente, allievo di grandissimi personaggi, come don Milani e Ivan Illich. È stato deputato al parlamento europeo per l'Italia come verde e vicinissimo ai verdi tedeschi. Insomma, venendo da una zona di confine, ha avuto un ruolo da svolgere di confine. Teorizzava molto l'idea della necessità di farsi "ponte" tra le culture, le etnie, le religioni, le convinzioni che, se diventano troppo radicate o radicali, rischiano di portare a scontri assurdi e insensati come successo nell'ex Jugoslavia. Quest'ultima è stata per lui l'esperienza più tragica per lui. Credo che la sua fine, il suicidio, sia nato anche dalla tensione degli scontri e dal senso di impotenza di fronte alla possibilità di appianarli con metodi meno drastici e non violenti».
Riletti oggi gli scritti di Langer assumono quasi il valore di moniti profetici su questioni peraltro rimaste attuali e irrisolte.
«Una delle questioni base è stata la pace, per mantenere la quale ed evitare le stragi molte volte si deve prendere posizione anche da fuori e intervenire direttamente nei conflitti. Questo è stato un grave dilemma allora, rispetto alla ex Jugoslavia, e lo è ancora oggi, che siamo in guerra con la Libia. Si tratta di problemi che tornano e probabilmente torneranno in modo drammatico anche in futuro. L'altro aspetto su cui da Langer c'è da imparare non solo la contraddizione e la difficoltà, ma anche la possibilità concreta di fare cose giuste è il fronte dell'ecologismo. Come verde, legato a Ivan Illich e all'università dello sviluppo alternativo, ha elaborato idee allora in anticipo sul nostro tempo. Oggi, perfino i più ottusi tra di noi sono costretti a diventare un po' ecologisti, perché tutti si rendono conto di cosa voglia dire l'incombere del disastro: sul problema dell'acqua, su cui si decideranno le sorti politiche e belliche del pianeta nei prossimi anni; sui problemi dell'energia, dell'aria che respiriamo, del mondo che prepariamo per i nostri figli e nipoti».
Rispetto a quindici anni fa si è però ora affievolita la speranza, per esempio, negli organismi internazionali, che sembrano aver abdicato al loro ruolo, mentre Langer vi riponeva ancora molta fiducia.
«Come dico nella prefazione a Il viaggiatore leggero, sono convinto che la base langeriana più autentica sia quella della carità e non quella della speranza. Non c'è nessun merito, dicevano gli antichi, a mettersi in un'impresa che si sa vincente. Si ha del merito a mettersi in un'impresa che si sa giusta. Dopo di che, non siamo noi a poterne determinare il successo o meno. La storia è sempre una storia difficile, è sempre una storia del potere che cerca di tagliare la strada e le ali a chi compie le azioni giuste. In ogni caso, si può essere pacifisti, ecologisti, bravi, rivoluzionari, seri, democratici, per uno sviluppo alternativo, anche se non si ha fiducia piena nelle sorti dell'umanità e nella sua capacità di capire e di reagire. È un problema morale individuale o di settori della popolazione, ovviamente sempre piuttosto minoritari, ma che hanno il dovere di dare l'esempio, di aiutare gli altri a comprendere, di lasciare un segno di continuità tra una generazione e l'altra. L'insegnamento di Alex oggi è centrale. Di tutti i movimenti degli anni Sessanta, è la figura più luminosa e quella più utile da ripercorrere, nonostante le contraddizioni tragiche, perché è quella che con più coerenza, limpidezza, pulizia morale e intelligenza politica ha cercato di guardare avanti e non alle piccole lotte, alle beghe non fondamentali. È andato subito al nodo e questo è, secondo me, un insegnamento che qualcosa produce. Il mondo non è migliorato da quando Alex non c'è più, ma questo non vuol dire che non valga la pena di lottare».
Lei è stato definito da Piergiorgio Bellocchio "inventore di riviste". Che ruolo hanno oggi in Italia?
«Il ruolo delle riviste è finito, come quello degli intellettuali. Non ce ne sono più. Ci sono al meglio i lavoratori della conoscenza, come dicono i sindacalisti e hanno perfettamente ragione. Ci sono gli operatori sociali, una parte dei quali sono operatori culturali. Poi ci sono una manciata di artisti: come in tutte le generazioni, sono pochi quelli veri. Adesso sono invece milioni coloro che si pretendono artisti, scrittori, cantanti, ballerini, pittori, ecc., semplicemente perché ai giovani non si offrono più posti di lavoro normali. Si è chiuso il mondo contadino, si sono uccisi l'artigianato e tanti settori tradizionali che hanno retto nella storia dell'umanità fino agli anni ‘70-'80 del secolo scorso. Quindi i giovani cosa fanno? Si illudono di essere tutti creativi, una delle grandi farse, delle grandi truffe di cui i giovani sono succubi, ma anche un pochino complici, perché si lasciano abbindolare da queste frescacce e passano la vita a fare sciocchezze».

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