Venerdì 3 Giugno 2011 - Libertà
«Langer, un uomo senza frontiere»
Il critico Goffredo Fofi in Fondazione
piacenza - «La convivenza pluri-etnica può essere percepita e vissuta come arricchimento ed opportunità in più piuttosto che come condanna: non servono prediche contro razzismo, intolleranza e xenofobia, ma esperienze e progetti positivi ed una cultura della convivenza». I passaggi da non tralasciare per sviluppare quest'ultima nella quotidianità erano stati sintetizzati da Alexander Langer in un decalogo, ripubblicato ora nel volume di scritti Il viaggiatore leggero, tornato in libreria per i tipi Sellerio a 15 anni dalla prima edizione del 1996, uscita poco dopo la tragica scomparsa dell'ambientalista e pacifista altoatesino, tra i fondatori del movimento ecologista in Italia. Quel Tentativo di decalogo per una convivenza inter-etnica, con il suo carico di prospettive e di riflessioni tanto attuali per capire i problemi del nostro presente, è stato ripercorso l'altra sera dal critico Goffredo Fofi, autore della prefazione al volume presentato in Fondazione nel secondo incontro del ciclo "Altronovecento", promosso dall'associazione politico-culturale Cittàcomune, per la quale sono intervenuti il presidente Piergiorgio Bellocchio e Gianni D'Amo, che ha introdotto l'iniziativa tracciando un ritratto di Langer, nelle molteplici sfaccettature di una personalità di grande interesse.
D'Amo ha evidenziato «la vena religiosa e cristiana» che si avverte negli scritti di Langer il quale, studente universitario a Firenze, aveva avuto la possibilità di conoscere don Lorenzo Milani, traducendo poi in tedesco Lettere a una professoressa sulla lezione della scuola di Barbiana, e padre Ernesto Balducci. Gli anni Settanta videro Langer partecipare all'attività di Lotta continua, l'organizzazione della sinistra extraparlamentare di cui ha parlato uno dei leader storici pavesi, Lanfranco Bolis, per il quale la cifra distintiva dell'apporto di Langer al movimento post-sessantottino è da ricercarsi nella scelta di non fare mai, a eccezione di una precedente parentesi in Germania, il militante di professione, «mantenendo sempre una sua autonomia», forte di una concezione della politica originata dall'etica. «Le grandi ipotesi di Langer furono quelle -ha spiegato Bolis - di non disgiungere etica e carità dalla politica e la capacità di unire cose diverse tra di loro, di farsi ponte, senza considerare mai la politica come una professione».
All'interno dell'ampia selezione di scritti, che coprono un arco cronologico compreso dal 1961 al 1995, Fofi e Bellocchio hanno richiamato come particolarmente emblematica la lettera di Langer a San Cristoforo, il possente e umile traghettatore tanto venerato in Alto Adige e la cui immagine è riprodotta sulla copertina del volume. Interrogandosi sul possibile guado che ci attende, Langer osservava: «Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del "di più" ad una del "può bastare" o del "forse è già troppo"». L'invito, non più eludibile, era ad arrestare la corsa autodistruttiva compiuta in nome di uno sviluppo senza limiti, dimostratosi catastrofico. Posizioni alle quali Langer era giunto anche grazie all'influenza di Ivan Illich. Fofi ha rimarcato la vocazione di Langer a fare da ponte, decisione difficile «in un mondo che cerca sempre più di attaccarsi alle scappatoie identitarie». Eppure lì sta il merito, nel mettersi comunque dalla parte delle cause giuste, anche se non saranno coronate dal successo. Citando Salvemini: «Fai quel che devi, accada quel che può».
Anna Anselmi