Lunedì 14 Marzo 2011 - Libertà
Le ultime parole di Goethe
Palazzi e Ambrosini in un delizioso spettacolo per pochi
piacenza - Lo spettacolo teatrale forse più delizioso che circoli in Italia è una gioia per pochi. Nell'ambiente del teatro se ne parla molto ma non ne esistono manifesti e vanamente se ne cercherebbero recensioni, perché si tratta di uno spettacolo - letteralmente - clandestino: finora è andato in scena solo in serate a inviti, per lo più in case private. Molti grandi nomi della scena italiana ne sono rimasti stregati: Luca Ronconi (che, per non perderlo, ha spostato di un'ora le prove di uno spettacolo suo) e Anna Maria Guarneri, Moni Ovadia e Andrée Ruth Shammah.
Questo spettacolo si intitola Goethe "schiatta" e l'altra sera è andato in scena a Piacenza, nel Ridotto del Teatro Filodrammatici, per una dozzina di invitati (tra gli altri, lo scrittore Piergiorgio Bellocchio, il direttore di Emilia Romagna Teatro Fondazione Pietro Valenti, l'attrice Mariangela Granelli e il regista Fabrizio Montecchi). Si è trattato, in un certo senso, di un "ritorno a casa", perché la prima idea dello spettacolo è stata concepita nel Piacentino, durante una cena in Valtidone fra i suoi tre artefici: il noto critico teatrale Renato Palazzi (scrive sul Sole 24 Ore e sul sito delteatro. it), che qui debutta come attore con esiti felicissimi; il raffinato regista Flavio Ambrosini, che affianca Palazzi sul palco come "servo di scena"; e il piacentino Diego Maj, fondatore di Teatro Gioco Vita e produttore dello spettacolo.
Goethe "schiatta" (dal titolo si potrebbero pure togliere le virgolette) è un racconto dell'austriaco Thomas Bernhard, il più tagliente e meno consolatorio dei grandi drammaturghi del secondo Novecento, di cui Palazzi offre una simpatetica, irresistibile lettura scenica nel ruolo dello Scrittore seduto al suo tavolo di lavoro. Scritto nel 1986 e pubblicato in Italia solo sulla rivista Aut Aut il racconto finge di raccontare gli ultimi giorni della vita di Goethe, il sommo poeta tedesco, attraverso la voce di un "io narrante" (lo Scrittore, appunto), che ha l'appassionata pedanteria degli studiosi di professione e la maniacalità di tutti i personaggi di Bernhard. Ma, con un folgorante scatto verso l'Assurdo, qui si immagina che l'ultimo, ardente desiderio di Goethe sia quello di incontrare il filosofo asutraico Ludwig Wittgenstein: il più classico degli incontri impossibili, visto che Goethe morì nel 1832 e il filosofo nacque più di mezzo secolo dopo, nel 1889. Ma questo incontro impossibile sembra avere una sua - grottesca e serissima insieme - ineluttabilità: il Pensatore che negò la possibilità di parlare di qualsiasi cosa non fosse riducibile all'impersonale oggettività di un esperimento appare qui come l'implacabile liquidatore destinato ad annientare il sogno di onnipotenza del Poeta che aspirò a conoscere tutto e a tutto dire. E questo annientamento si consuma fino in fondo; il Goethe di Berhnard muore (pardon, schiatta) rivelando che le celebri ultime parole attribuitegli dai biografi sono frutto di un refuso: non «Mehr Licht! », cioè "Più luce", ma «Mehr Nicht! », cioè "Più Nulla! ".
Lo spettatore gusta la pièce al meglio se è in grado di cogliere i molteplici riferimenti filosofici e letterari che la tramano minutamente. Ma non è necessario sapere molto di Goethe, né di Wittgenstein, né di Bernhard, per essere avvinti da questa tragicomica affabulazione, dalla spettrale ironia di certi momenti sottolineata per contrasto dalla romanticissima effusione della musica (la Quarta Sinfonia di Schumann). E da quella vera rivelazione che è il Renato Palazzi attore, "allenato" a meraviglia da Ambrosini e davvero sensazionale nell'interiorizzare il testo, nel farne vibrare i più riposti sottintesi.
Speriamo solo che questo spettacolo esca dall'Arcadia degli inviti per happy few e imbocchi la via dei teatri veri, per un vero pubblico.
Alfredo Tenni