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Mercoledì 6 Aprile 2011 - Libertà

San Pietro, il campanile torna a vivere

Lavori conclusi, domenica parrocchia in festa con il vescovo Ambrosio

L'attesa è finita. Domenica il campanile di San Pietro sarà infatti riconsegnato ai parrocchiani che negli otto mesi della ristrutturazione si sono spesi in prima persona.
A benedire la conclusione dei lavori di riqualificazione della torre campanaria sarà il vescovo, atteso per le 10,30 nel cortile parrocchiale (via Roma, 33). Prima del rito fissato per le 10,45, monsignor Gianni Ambrosio si intratterrà con i genitori dei bambini che frequentano la parrocchia in attesa della messa delle 11. Intanto, già da domani spariranno definitivamente i ponteggi che dal luglio scorso ingabbiano la struttura d'origine seicentesca. E' però una storia ben più lunga, iniziata prima dell'estate, quella dell'ipotesi di recupero di parte dell'ex convento dei gesuiti, un progetto che per tre anni ha coinvolto i fedeli insieme agli addetti ai lavori.
«Mettere in ordine il campanile - ricorda il parroco, don Giuseppe Frazzani - era il desiderio di don Carlo Brugnoli, il mio predecessore, che aveva avviato il restauro della chiesa. Un sogno tramutatosi in realtà grazie al contributo economico dei parrocchiani e di alcuni sponsor quali la Fondazione di Piacenza e Vigevano. Anche le ditte, la Gasparoli incaricata del restauro, e la Libelli che ha installato le impalcature, hanno fatto la propria parte, riducendo l'importo complessivo».
E' appunto anche merito dei cittadini, costituitisi in un comitato, se sono stati recuperati i 400mila euro necessari per la realizzazione dell'intervento, eseguito su una superficie di 700 metri quadrati sotto la supervisione dell'Ufficio beni culturali della Diocesi di Piacenza-Bobbio e della Soprintendenza. La somma verrà poi pagata con altri fondi che la Cei ha messo a disposizione della Diocesi per la preservazione dei monumenti religiosi.
Ma per il sacerdote la fine dei restauri vale molto di più del valore dell'opera e del mantenimento del manufatto barocco di 47 metri (la seconda torre più alta della città dopo il campanile del Duomo). E' dunque l'impegno messo in campo dai parrocchiani a dare le maggiori soddisfazioni a don Frazzani, secondo il quale il fine del comitato fondato dai fedeli abbia contribuito a cementare la piccola comunità. Ad essa si sono persino aggregati i residenti della zona inclusa nelle parrocchie "sorelle" di Santa Maria in Gariverto e San Francesco - sperimentalmente condotte dallo stesso curato - unite dall'obiettivo comune di riportare il campanile all'originaria bellezza. «A rendermi contento - riferisce il parroco - non è solo l'aver salvato dal degrado un insigne monumento, ma l'aver notato come intorno all'opera si siano amalgamate le forze di tante persone. Si è così ricreato un senso di comunità, anche in una zona della città come quella del centro storico dove l'appartenenza si sta sfaldando a causa del calo demografico e dell'invecchiamento della popolazione residente. In questi mesi però abbiamo constatato come esistano ancora famiglie che sanno partecipare alla vita parrocchiale se vengono stimolate con qualche progetto».
Domenica si concluderà così un lungo processo di conservazione dell'ex convento, anticipato dai primi interventi di recupero programmati nell'Ottocento da monsignor Giovanni Battista Scalabrini, che volle ridare a San Pietro la funzione di chiesa parrocchiale. Alla Compagnia del Gesù, arrivata in città nel 1582 va invece attribuita l'edificazione del complesso, eretto nel cuore della città romana lungo l'asse di quella che era ancora la via Emilia. Al 1620 risalgono invece le prime documentazioni storiche che attestano la presenza dei cantieri, fermati nel 1660 e ripresi sei anni più tardi grazie all'interessamento di un benefattore. Da allora scarseggiano le informazioni sul procedere dei lavori e sulla condizione del campanile, citato negli archivi solo per sporadiche manutenzioni. Bisogna recuperare testi datati 1886 per apprendere della decisione di demolizione del malandato manufatto, salvato successivamente dai fautori della conservazione, che lo indicarono come «degno di nota tra le costruzioni lombarde del Seicento».

Filippo Columella

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