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Martedì 10 Maggio 2011 - Libertà
Quel 10 maggio 1848 è la nostra storia
Questo è il testo integrale del discorso che il sindaco Roberto Reggi ha pronunciato in consiglio comunale per Piacenza Primogenita.
di ROBERTO REGGI*
Signor Prefetto, Autorità, colleghi Consiglieri,
era il 1908 quando, per la prima volta, si riunì il Consiglio comunale in questa sala. Fu l'allora sindaco, Francesco Pallastrelli, a trasferire nella ex chiesa di Santa Franca la sede dei Filodrammatici, che tuttora ospita l'omonimo teatro, perché il consesso civico comunale potesse riunirsi nel cuore della città, in questo palazzo voluto dal Collegio dei Mercanti di Piacenza, realizzato tra il 1676 e gli ultimi anni del secolo.
Nell'occasione dell'insediamento dell'assise consiliare tra queste mura, il sindaco Pallastrelli ricordò il Plebiscito di sessant'anni addietro, in quel glorioso 1848, nella cornice della basilica di San Francesco. Oggi, quasi a chiudere un cerchio ideale, ci rtiroviamo in questa sede prestigiosa, simbolo di partecipazione democratica, a commemorare e celebrare quell'evento che rappresenta una tappa fondamentale non solo per la nostra città, ma anche nel lungo cammino che ha portato all'unificazione nazionale di cui ricorrono, in questo 2011, i 150 anni.
Vorrei soffermarmi brevemente su quelle altissime pagine della nostra storia, per sottolineare che Piacenza - pur di aggiudicarsi la sede plebiscitaria - superò un attrito campanilistico con la vicina Parma, accelerando i tempi per ottenere la possibilità di sancire ufficialmente la volontà politica del Ducato piacentino di annettersi al Movimento unitario italiano guidato dal Piemonte, allora in guerra contro gli austriaci. Fu deciso che negli ultimi giorni di aprile venissero aperti i registri in tutti i Comuni della provincia, per raccogliere le firme di adesione al Piemonte. Il territorio urbano rispose in modo più massiccio e corposo rispetto al contado e fu ben il 98% degli aventi diritto - più precisamente, 37.089 cittadini - a esprimersi a favore dell'annessione.
Pur senza tacere il fatto che il voto non fu segreto e che molti elettori erano analfabeti - tant'è che vennero assistiti nell'operazione dalle autorità presenti, parroci e rappresentanti delle istituzioni civili - non possiamo dimenticare il significato di quella scelta popolare, né il giubilo generale che il 10 maggio animò la basilica di San Francesco, dove avvenne la proclamazione dell'annessione, con tanto di benedizione dei vessilli dei volontari.
Fu allora che una delegazione composta - come è ben noto - da Pietro Gioia, Fabrizio Gavardi e Pietro Rebasti, si recò a Sommacampagna per presentare al re Carlo Alberto l'esito del Plebiscito, mentre in un caloroso discorso alle Camere il Ministro degli Esteri Pareto additava l'esempio di Piacenza alle altre città italiane. E alla nostra città veniva attribuito, per la coerenza e la tempestività con le quali aveva sviluppato un proprio disegno politico, nel quale il Parlamento riconosceva un accordo tra pari verso una comune fratellanza, il titolo di Primogenita d'Italia.
Mi preme sottolineare quanto importante fosse, allora come oggi del resto, il sentimento di unità e di coesione nazionale che ha contraddistinto nel tempo la nostra comunità. Un ideale di condivisione che non può essere trascurato e che questi tre giorni di festeggiamenti ci permettono di riscoprire, rimarcando il valore di una coscienza unitaria e della consapevolezza di quel cammino comune che consolida e rafforza il nostro senso di appartenenza. Desidero citare, a questo proposito, quanto affermò il senatore Alberto Spigaroli, che ringrazio, insieme agli altri primi cittadini intervenuti, per la sua presenza a questa cerimonia, celebrando come sindaco di Piacenza il centenario dell'unità d'Italia, nel 1961: "Il Paese deve superare altre fratture, e in modo particolare quelle determinate dagli squilibri sociali, dai troppo accentuati dislivelli economici tra i suoi cittadini e tra i suoi territori". E aggiungeva, in quel vibrante discorso, che procurare maggiore giustizia, mai disgiunta dalla libertà, significa "operare per l'accrescimento dell'unità spirituale degli italiani, che è bene assai più prezioso dell'unità territoriale".
In questo nostro tempo, in cui le nuove povertà emergono come fenomeno diffuso e preoccupante, e le disparità socio-economiche hanno assunto una dimensione sempre più complessa, il mio personale ricordo va alla singolare figura di Fabrizio Gavardi, sindaco di Piacenza tra il settembre 1859 e il gennaio del 1860, che già nel 1848, per cinque mesi, aveva retto la città. I libri di storia lo descrivono come "un popolano fattosi dal nulla, ispirato a principi di buon senso e molto amato dalle classi più umili, dalle persone meno abbienti": in un'epoca in cui il voto era ancora un diritto acquisito per censo, egli si distinse per la propria umanità, quasi avesse capito quanto sia importante, per un primo cittadino, essere vicino a chi più ne aveva bisogno. La gente lo amava, acclamandolo come padre dei poveri: eppure, con specchiata ed encomiabile onestà, dopo le elezioni del febbraio 1860 fu fermo nella decisione di dimettersi, per non aver saputo evitare alcune irregolarità amministrative, cui pure si era dimostrato del tutto estraneo.
I corsi e i ricorsi storici avvolgono la celebrazione odierna. Questa sala muove il ricordo di avvenimenti che hanno segnato la storia e la cronaca di Piacenza, di una comunità che da quel 1848, tra tradizione e innovazione, ha saputo crescere e trovare una propria dimensione nel difficile percorso dell'unità nazionale.
Nell'anno che sancì l'unificazione del Paese, sindaco della città era Faustino Perletti cui succedette, sempre nel 1861, l'assessore Luigi Lupi. Era un periodo di vitalità politica, civile ed economica, che a Piacenza vide la fondazione della locale Cassa di Risparmio, seguita, nel 1867, dalla nascita della Banca Popolare Piacentina. Nel 1891 - a 17 anni di distanza dai primi scioperi registrati, sul nostro territorio, tra operai e muratori, che si rivolsero anche al Municipio per chiedere un aumento di salario - nacque la Camera del Lavoro, prima in Italia, e l'anno successivo la Federconsorzi.
Le origini di questi fermenti sociali ed economici risalgono agli eventi di quarant'anni addietro, quando la scelta filo-piemontese dei piacentini non fu un approdo casuale, ma il punto d'arrivo di un percorso che aveva visto protagoniste le classi economicamente più produttive, che avevano sempre avuto contatti con il Lombardo-Veneto e con il Piemonte soprattutto nei rapporti commerciali, seguendo in tal senso una tradizione che risale al Medio Evo, quando i banchieri piacentini, famosi in tutta Europa, erano molto vicini alle realtà di Milano, Genova e Torino. E a ciò occorre aggiungere anche che personalità particolarmente in vista in quegli anni, come Giordani e Gioia, si erano formate con una cultura volta all'unità piuttosto che a ristretti localismi.
Piacenza anticipatrice di un percorso di unità nazionale? Direi proprio di sì, tenendo conto che questa esigenza si innesta sì su basi economiche e produttive, ma anche su una forte tradizione giuridica ottocentesca, che incide - e non poco - nella cultura del tempo. E' bene, per correttezza storica, evidenziare che in quegli anni sono soprattutto le avanguardie liberali e radicali a farsi interpreti di una consapevolezza che le masse popolari non possono avere, per ragioni di cultura e di censo: chi è meno abbiente vive davvero una vita molto grama e di stenti.
L'annessione plebiscitaria è la conseguenza logica di un modo di pensare che è tipicamente filo-piemontese. E' in quegli anni che matura un senso di unità e di appartenenza che, nel tempo, emergerà in modo evidente, e il Plebiscito è fondamentale in questo percorso, che ci porta a un presente in cui guardiamo da un lato al Risorgimento e dall'altro alla Resistenza, che - vista proprio come affermazione di un desiderio di unità nazionale, di indipendenza dalle oppressioni - può essere a ragione definita il secondo Risorgimento per l'unità d'Italia. Quel Plebiscito è la nostra storia, la storia di uomini che con lungimiranza e coraggio ebbero un'idea attualissima del nuovo Paese che stavano disegnando, sacrificando a volte la loro esistenza e la loro stessa vita a un ideale di Stato democratico che, nella sua compiuta realizzazione, collocò 150 anni fa l'Italia nel novero delle moderne nazioni europee.
E nell'Italia di oggi, dove il tema dell'unità del Paese è oggetto di discussione e una crisi profonda sembra attraversare le istituzioni, rivivere con tante iniziative popolari - come sta accadendo in questi giorni a Piacenza - significa specchiarci in noi stessi e ripercorrere le tappe che ci hanno portato fin qui. Ciò che accadrà domani, in particolare, con l'Insediamento, sarà un modo per non dimenticare la nostra storia di italiani e di piacentini primogeniti, anche se tutto questo - ne sono consapevole - non basta a risolvere i problemi che viviamo di giorno in giorno. In una società globalizzata, che rischia di perdere di vista la propria identità, Piacenza ritrova l'orgoglio del suo cammino risorgimentale, non arroccandosi nella propria dimensione, senza ergere muri ma riprendendo quel percorso unitario che, avviato nel 1848, non si conclude né si concluderà.
Piacenza, in quel 1848 che oggi, con noi, un'intera comunità celebra, fu capace di essere generosa e aprirsi oltre i suoi confini, come farà ad esempio il 6 luglio prossimo, quando Riccardo Muti, in piazza Cavalli, dirigerà l'orchestra Luigi Cherubini in un concerto benefico, preludio di quello che terrà a Nairobi, a sostegno dei bambini di strada dell'Africa e delle nostre missioni.
Anche ieri, a Torino, la nostra città ha mostrato con orgoglio il proprio gonfalone di Primogenita, ricevendo attestazioni di stima e di giubilo da parte di tutti i presenti per il ruolo che ha avuto nel processo dell'unità nazionale e per il senso di appartenenza alla Patria che ha sempre dimostrato. Un riconoscimento, questo, al quale Piacenza ha risposto con orgoglio ed emozione, dando la propria disponibilità a ospitare la prossima adunata nazionale degli Alpini nel 2013.
Mi fermo qui, ricordando che questa stessa sala, nella quale oggi commemoriamo un evento straordinario, è stata lo specchio di una città intera, con la sua storia, le sue vicende, i suoi drammi e i suoi successi. Mi auguro che la ricorrenza del Plebiscito d'ora innanzi venga celebrata il 10 maggio di ogni anno, per innestare un percorso virtuoso che passi il testimone ai nostri ragazzi, a ricordo del protagonismo di Piacenza nella storia dell'unità d'Italia.
Grazie a tutti, viva Piacenza Primogenita d'Italia.
*Sindaco di Piacenza
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