Martedì 17 Maggio 2011 - Libertà
Il controcanto all'epopea risorgimentale
Salvatore Mortilla in Fondazione ha parlato del romanzo "I Vicerè" di De Roberto
piacenza - "Ora che l'Italia è fatta, dobbiamo farci gli affari nostri". Sta tutta racchiusa in questa frase la tragica attualità della letteratura. A pronunciarla non è un malavitoso di Cosa Nostra, il Provenzano di turno e neppure un politico corrotto dell'oggi. È Giacomo, uno dei tanti protagonisti che affollano I Vicerè, romanzo di molta sostanza e poca fortuna scritto da De Roberto circa un trentennio dopo l'Italia unita.
Ma "gli affari nostri" a cui Giacomo fa riferimento diventano l'emblema di un tragico malcostume che il Bel Paese si porta appresso insieme alla sua immagine fatta di pizza e mandolini, terribile e odioso ribaltamento dei nobili e alti ideali espressi da D'Azeglio con la frase entrata nella leggenda dell'epopea post-risorgimentale "Ora che abbiamo fatto l'Italia, dobbiamo fare gli italiani". Non è un caso che proprio l'enunciato che De Roberto fa pronunciare a uno dei suoi personaggi abbia dato il titolo alla rassegna curata dal critico Salvatore Mortilla: "Ora che l'Italia è fatta" si intitola infatti il ciclo di incontri che si tengono all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano tutti dedicati ad alcuni grandi capolavori della letteratura italiana di Otto e Novecento che hanno raccontato il Risorgimento. Nelle intenzioni del piacentino infatti c'è l'obiettivo di offrire un punto di vista alternativo sulle vicende che condussero e seguirono all'Unità d'Italia: Mortilla ha scelto la chiave di lettura della letteratura ed evidentemente non ha sbagliato.
Nel primo incontro il critico ha analizzato il "componimento misto di storia e invenzione" di Manzoni attraverso l'esemplificazione dei Promessi Sposi; nel secondo appuntamento invece, ad andare sotto la lente di Mortilla è stato I Viceré, un romanzo che lo stesso relatore non ha esitato a definire "critico e satirico di costume". Del resto proprio alla luce di questa caratteristica del testo, che racconta le vicende di una famiglia nobile attraverso diverse generazioni, si motiva lo scarso successo che I Viceré ebbero per lungo tempo: «È un romanzo che mette in crisi lo stato appena nato» ha spiegato Mortilla. Le vicende, le trame, le parole che De Roberto mette in bocca ai suoi "viceré" fanno da agghiacciante controcanto all'epopea risorgimentale con i suoi miti e i suoi eroi: del resto, lo dice chiaramente ancora una volta Giacomo, "quando c'erano i viceré noi eravamo viceré; ora c'è il parlamento e lo zio è deputato". È un segno, questo, che il malcostume resta: allora come oggi i "fatti nostri" dettano legge.
b. para.