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Mercoledì 29 Giugno 2005 - Libertà

Il dibattito sul sistema Piacenza

Sia ampio il tavolo di discussione su Piano strategico e Poli logistici

Nell'ultimo periodo, nelle pagine del suo giornale, è stato riservato uno spazio importante alla ripresa del Piano Strategico ed ai Poli Logistici. Diversi e qualificati sono stati gli interventi di politici locali, amministratori, sindacalisti, esperti. A mia volta, vorrei portare un contributo. La ripresa di un tavolo che veda presenti tutti i soggetti preposti all'elaborazione, allo studio ed all'orientamento delle strategie da mettere in atto nel prossimo futuro è un fatto assolutamente positivo e fondamentale.
E' chiaro che per funzionare, questo tavolo deve vedere la partecipazione del maggior numero di soggetti (le amministrazioni locali e gli altri soggetti pubblici; i privati, le associazioni economiche, culturali, ambientali; sindacati e partiti politici; scuole ed università). Ritengo che la prima fase del lavoro dovrebbe essere dedicata all'ascolto di tutti coloro che possono portare alla luce i punti di debolezza e di forza del "sistema Piacenza" . E che possano anche prospettare soluzioni. Una volta definito questo quadro, corredato dalle relative analisi legate a impegni di spesa, valutazione dell'impatto ambientale, difficoltà operative e tutto quanto possa essere utile per valutare la fattibilità degli interventi potranno prendersi le decisioni definitive, il passo successivo consiste nell'individuare le priorità. Il punto è dunque di aprire questo organismo a quei soggetti in grado di portare contributi, senza schemi di partecipazione chiusi, lasciando alla fine le prese di responsabilità e le scelte tra i vari progetti. Scelte strategiche che dovrebbero poi essere in qualche modo vincolanti (se realmente precedentemente partecipate) per i vari soggetti coinvolti (amministrazioni locali, camera di commercio, fondazione, associazioni, sindacati, ecc.).
Questo, per non rischiare, poi, che qualcuno che ha condiviso tutto il percorso, anche se magari in disaccordo su alcuni interventi, a decisione presa, per ragioni estranee alle finalità del piano, possa cavalcare eventuali resistenze, che inevitabilmente condurrebbero all'immobilismo. Se le scelte sono state condivise dal maggior numero possibile di soggetti, se sono state analizzate sotto tutti gli aspetti, se riguardano interventi prioritari ed indispensabili per il territorio devono poi essere coerentemente perseguite. Per far questo occorre un reale patto per i prossimi 15 anni che "vincoli" tutti nelle scelte operate. Non si tratta di eludere il lavoro importante, di idee e di confronto, sin qui svolto in sede di Piano strategico provinciale. Si tratta di superare la logica della elencazione di opere o interventi, al di fuori di un quadro coerente e impegnativo per tutti ritenuto in grado di reggere alla prova del prossimo futuro. Non possiamo fare questo se non riconosciamo, pure in un contesto di dinamismo, delle debolezze e delle contraddizioni della economia piacentina, sia sul versante della ricchezza prodotta, sia della distribuzione di tale ricchezza; della mancata valorizzazione delle risorse umane dovuto a un basso tasso di occupazione, specie femminile; il pregiudizio delle possibilità di ripresa economica per effetto di una quota consistente e crescente di occupazione precaria. Serve configurare ed assumere un "modello" di sviluppo economico e di coesione sociale, in grado di impegnare le istituzioni locali, fornendo agli operatori economici un quadro di riferimento, socialmente sostenuto. Un quadro certo, entro cui incentivare la convergenza di capitali di investimento privati, per la cui realizzazione ognuno opera le proprie scelte, gli impegni e i rischi economici propri dell'impresa. Occorre affermare con chiarezza che gli investimenti degli Enti locali e pubblici di per sé non bastano, ai fini del rilancio dello sviluppo. Quel che il Piano Strategico deve saper offrire per conto della collettività piacentina è un contesto favorevole all'investimento di capitali di rischio, a fronte di una disponibilità e di una responsabilità anche sociale dell'impresa.
Ma veniamo ai contenuti. Da più parti (amministratori, industriali, sindacalisti) è emerso, riguardo all'analisi del precedente patto strategico ed alle prospettive del nuovo piano strategico un elemento comune: la priorità degli interventi riguardo alla logistica. Ci rendiamo tutti perfettamente conto di quanto la nostra Provincia abbia una collocazione strategica all'interno del territorio nazionale. Siamo un fondamentale snodo a livello di comunicazioni autostradali, ferroviarie, e via acqua (il Po ed il mare). Sicuramente il nostro territorio esibisce una naturale vocazione alla logistica e dunque alla appetibilità degli investimenti in questo settore. La domanda però è questa: possiamo correre il rischio che la logistica diventi lo schermo dietro al quale nascondere i problemi reali del nostro territorio? Un territorio, ed anche questo è noto, che vede una costante diminuzione della popolazione ma di converso un forte incremento della superficie edificata; che trova sempre maggiori difficoltà a livello occupazionale (in modo particolare nel settore femminile), dove l'industria segna largamente il passo e dove il ricorso alla cassa integrazione appare in crescita. Per non parlare poi di quanto sta avvenendo a livello occupazionale per quanto riguarda il polo militare ed i servizi (Enel, telefonia, ecc.).
Se l'analisi delle difficoltà che i dati ci restituiscono è questa, allora le soluzioni connesse esclusivamente allo sfruttamento del territorio non sembra la migliore. Soprattutto riguardo a quanto poi vorremo lasciare alle future generazioni. Questo perché la logistica non può e non deve essere una nuova fabbrica. E non può diventare (lei da sola) fondamentale per il rilancio del nostro territorio: non si vince la stagnazione offrendo solo aree industriali (per lo stoccaggio e non per la produzione) a basso prezzo per attirare nuove imprese. Ciò non significa affatto abbandonare questa area di interventi, per la quale, come dicevo, il nostro territorio appare vocato. E' però evidente che si deve operare anche su altri fronti. Ad esempio sarebbe importare investire con forza e convinzione in nuovi processi di industrializzazione, dando priorità alla sostenibilità ambientale, alla ricerca ed all'innovazione. Piacenza, il nostro Paese, devono puntare ad ideare ed a produrre a qualità sempre superiore. La logica degli insediamenti sul territorio è certamente legata alle necessità delle amministrazioni locali (che ricavano gettito grazie al quale possono mantenere i servizi ai cittadini, in un contesto di costante decremento dei trasferimenti dallo Stato) e delle imprese, di rilanciare a costi accettabili la loro attività; naturalmente, le scelte sono difficili e tante le sono le giustificazioni. Ma non si può risolvere tutto esclusivamente sottraendo terreno ad altri usi e ad altre attività (al verde ed all'agricoltura, solo per citare alcuni esempi). Negli ultimi anni sono già stati decisi interventi che hanno portato allo sfruttamento del territorio provinciale per alcuni milioni di metri quadrati (non solo nel capoluogo ma anche in provincia). E già si affacciano nuovi piani. Alla luce di tutto questo ritengo che vi sia la necessità di un diverso posizionamento strategico del nostro modello di sviluppo, per il quale offro alcuni spunti alla valutazione comune.
1 - Anche nei decenni scorsi, quando Piacenza si caratterizzava per una presenza di lavoro di dimensione molto rilevante riconducibile direttamente o indirettamente allo Stato, nessuno di noi ha mai immaginato una economia provinciale costituita esclusivamente dai settori agricolo e industriale. Tuttavia, con l'esperienza di un congruo numero di anni, è necessario prendere atto che nessun Terziario avanzato può affermarsi, se non è generato e alimentato da un sistema economico-produttivo reale tecnologicamente avanzato, competitivo sui mercati interni e internazionali. Questo sistema economico non può prescindere dal ritenere il Lavoro e la buona occupazione (contratto a tempo indeterminato - professionalità) un fattore determinante. Questo sistema economico deve incardinarsi su caratteristiche imprenditoriali strutturalmente adeguate, in un proficuo contesto territoriale, avendo cura della compatibilità del meccanismo economico con l'ambiente. A questo proposito perdura a Piacenza un irrisolto deficit imprenditoriale, le cui cause andrebbero analizzate e affrontate, nell'interesse di tutti.
2 - Nel corso degli anni, in relazione alle dinamiche non solo economiche, interne e internazionali, con il progressivo superamento del sistema industriale "fordista" e l'avvento della "società informatica", si è ritenuto di assegnare al cosiddetto "Terziario" il futuro della economia provinciale. Si è pensato che a prescindere, se non in contrapposizione, alla produzione e l'economia reale, il Terziario avrebbe compensato come per effetto di vasi comunicanti la perdita di occupazione stabile, di professionalità tecniche e intellettuali e con esse la possibilità di elevare un tasso di occupazione patologicamente basso. In realtà questo non è accaduto, né poteva accadere. Nei fatti a Piacenza il Terziario è pressoché una classificazione indistinta comprendente ogni tipologia di vizi e di virtù di antico lignaggio.
3 - Come nel resto in Italia, anche a Piacenza prosperano le attività economiche connesse agli appalti o alle concessioni pubbliche locali o non. Ovvero le attività poste al riparo della concorrenza. Se sul versante economico e occupazionale questo appare confortante, da un altro versante questa vantaggiosa situazione segnala la necessità di porre in coerenza questo stato delle cose con il modello di sviluppo che si persegue, nonché la necessità di tutelare i fruitori dei servizi di pubblica utilità.
4 - E' recente la scelta largamente condivisa del Polo Logistico. Importanti sono le raccomandazioni a corredo di tale condivisione, concernenti la selezione delle attività in insediamento, la corresponsabilità degli Enti Locali nella piena attuazione delle leggi di tutela del Lavoro nelle imprese insediate, concernenti l'attenuazione dell'impatto ambientale. Al di là di questi "paletti", la condivisione della scelta è derivata dagli effetti positivi che la logistica può e deve avere sul sistema economico e produttivo piacentino, per i quali costante dovrà essere l'impegno a che ciò accada.
5 - Va posta la dovuta attenzione ad una attività che in questi anni di stagnazione e di recessione economica ha rappresentato il lato positivo della misurazione del Prodotto Interno Lordo provinciale: la rendita fondiaria e immobiliare. La domanda che viene spontanea è: la popolazione provinciale non aumenta, il tasso di occupazione tende alla riduzione, l'attività manifatturiera ed economica in generale si contrae, qual è la ragione di un così elevato livello di cambio di destinazione d'uso di terreno agricolo? Il dubbio si tratti di una attività in gran parte speculativa gravante sulla collettività e sui consumatori ci chiama ad una doverosa pubblica riflessione, prima di ogni decisione formale degli organismi deputati. La irreversibilità se non a costi elevatissimi delle trasformazioni del terreno agricolo, le molteplici implicazioni di tipo ambientale per il territorio, l'ulteriore massiccia dose di insediamenti urbanistici propongono il dovere della precauzione e dell'approfondimento degli eventuali costi e benefici per la collettività. L'intento è di avviare un utile dibattito sugli spunti proposti e altri argomenti che si riterrà di porre all'attenzione di tutti i piacentini. Un dibattito che sia aperto e argomentato, anche per una crescita culturale, e rappresenti un contributo propositivo e costruttivo per coloro che siedono negli organismi istituzionali preposti alle decisioni formali.

*Responsabile Economico e Lavoro DS Piacenza

FABRIZIO SAMUELLI*

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