Fondazione di Piacenza e Vigevano Stampa
  Rassegna Stampa
spazio
  Comunicati Stampa
spazio
  Eventi Auditorium Piacenza
spazio
  Eventi Auditorium Vigevano
spazio
  Comunicazione
spazio

 
Home Page     Rassegna Stampa   


Giovedì 17 Febbraio 2011 - Libertà

«Sbagliata la competizione tra bambini»

Oliverio Ferraris: compartecipazione in base alla simpatia e alla gioia di vivere

Domani sera alle 20,45 presso l'auditorium della Fondazione di Piacenza prima lezione della "scuola genitori". La terrà Anna Oliverio Ferraris, psicologa, docente dell'Università la Sapienza di Roma, direttrice di Psicologia Contemporanea. Affronterà il tema "Lo voglio, compramelo! Bambini Consumisti o consumati". Ce lo anticipa in questa intervista che la prof. Oliverio Ferraris ha concesso a Libertà

di PAOLA COSOLO MARANGON
Il consumismo imperante degli ultimi anni ha esposto i nostri bambini a un modo di vivere che li porta a considerare maggiormente la dimensione del possesso più che quella delle relazioni. Lei che cosa pensa di questo stato di cose?
«Penso che non faccia bene ai bambini. Che li rende ansiosi, insoddisfatti e competitivi nei confronti degli altri bambini. Competizione sull'abbigliamento. Competizione per il possesso dell'ultimo gadget sul mercato. Competizione anche su chi dà la festa nel luogo più esclusivo e riceve il maggior numero di regali. "Il mio bambino è superiore al tuo" è il messaggio implicito che viene inviato da quei genitori che organizzano feste di compleanno per i loro figli come se si trattasse di matrimoni. I bambini però non hanno bisogno di coltivare un complesso di superiorità nei confronti dei loro amici né di stabilire una gerarchia in base ai regali che ricevono e agli oggetti che possiedono. L'atmosfera più adatta per crescere è quella spontanea della compartecipazione e del gioco, dove l'essere conta assai più dell'avere e non si viene scelti dai compagni in base agli abiti che si indossano e agli oggetti che si possiedono, ma alla simpatia e alla gioia di vivere».
Bambini e bambine sono sempre più esposti alle leggi del mercato, ciò che viene video trasmesso è importante, la popolarità è data dal fatto di essere visti da più gente possibile. Di fatto anche i prodotti pubblicizzati, anche se non eccellenti, sono graditi comunque per il solo fatto di essere trasmessi. Quanto questo fatto influenza le scelte dei nostri ragazzi?
«Influenza le scelte dei ragazzi e anche degli adulti a meno che non vengano loro prospettati valori diversi e un diverso stile di vita. I ragazzi amano il successo, la popolarità, il riconoscimento: essere sulla scena vuol dire "valere", sia che si tratti di persone che di prodotti commerciali. Un prodotto commerciale che viene pubblicizzato da un personaggio carismatico, per esempio un campione del calcio, acquista un fascino particolare che va bene al di là delle sue caratteristiche concrete: colui che possiede quell'oggetto si sente un po' campione o comunque "in linea" con la voga del momento. Ciò spiega perché un "tronista" possa essere invidiato e ammirato dai suoi coetanei, sedere nei talk-show come un maitre à penser e invitato nelle discoteche come il divo del momento, sebbene non abbia altro merito se non quello di comparire in tv. Persino personaggi come Corona o Ruby acquisiscono l'alone magico della notorietà nel momento in cui compaiono frequentemente sul piccolo schermo, vengono intervistati e invitati come ospiti nei talk-show. Assai più di un ragionamento, sugli schermi è la scenografia a dare importanza ad una persona, a trasformarla in personaggio e in celebrità. Modelli del genere sono deleteri perché danno ai giovani l'idea che si può raggiungere il successo senza alcuna preparazione o impegno, curando il look, frequentando i chirurghi estetici, mostrandosi disinvolti e pronti a tutto. Il compito dell'educatore oggi è reso difficile da questi modelli continuamente e subdolamente proposti dai media a scapito di altri modelli meritevoli e costruttivi: anche se Corona e Ruby vengono qualche volta biasimati, essi possono ugualmente imporsi nell'immaginario di un giovane per il solo fatto di comparire e di essere al centro dell'attenzione collettiva».
La pubblicità utilizza i minori per promuovere prodotti sia loro dedicati che dedicati a un mondo adulto. Questo a mio avviso è sfruttamento minorile, lei che cosa ne pensa? E come mai i genitori cadono nella trappola e non si rendono conto di queste cose?
«Certo che è sfruttamento minorile - anche se le famiglie sono d'accordo e anzi spingono i loro bambini a comparire - tant'è che in molti paesi europei non è consentito usare i bambini negli spot commerciali, né inserire gli spot commerciali nei programmi per ragazzi. Da noi, nonostante l'esistenza di un "Osservatorio sui Diritti dei Minori", i bambini recitano continuamente negli spot e i programmi per bambini sono inzeppati di spot dove la presenza di attori bambini suscita l'attenzione dei giovani spettatori e favorisce l'identificazione con essi e con i prodotti pubblicizzati. Le famiglie italiane che non solo acconsentono ma che fanno di tutto perché i loro figli appaiano negli spot sono mosse da diverse motivazioni: il denaro, il piacere di vedere il proprio bimbo in televisione, la notorietà e il nuovo "status" della famiglia che per questa via cerca di inserirsi nel magico mondo dello spettacolo».
I genitori spesso si trovano spiazzati di fronte alla grossa fruizione degli schermi da parte dei loro figli. Sembra quasi che se non sono connessi ad un social forum non esistano. E' proprio vero che oggi se non sei su Facebook non conti nulla? Come si può regolare un genitore a questo proposito?
«Se i bambini trascorrono molto tempo davanti alla tv è perché spesso in casa il televisore è sempre acceso e i genitori sono essi stessi dei grossi fruitori di televisione. Se i bambini hanno delle alternative, per esempio giocare all'aperto con i coetanei, la fruizione televisiva diminuisce. Facebook è una forma di socializzazione facile e superficiale che non è cattiva in sé, ma che può diventarlo se assorbe troppo tempo e se va a scapito della socializzazione faccia-a-faccia, più complessa, coinvolgente e istruttiva. I genitori devono seguire i figli dando loro delle regole, stabilendo i tempi, aiutandoli nell'organizzazione della giornata e dando il buon esempio».
I videogiochi sono i grandi alleati dei nostri figli, sembra che non esista gioco più interessante di quella scatoletta sonora. Il problema che si pone però, è che il videogioco catalizza a tal punto l'attenzione del bambino da renderlo quasi assente alle sollecitazioni esterne. Addirittura vi sono situazioni in cui i bambini si trovano per giocare assieme e poi si ritrovano a stare seduti sul divano e a giocare ognuno con il proprio videogioco…
«I videogiochi assorbono facilmente l'attenzione dei bambini per svariati motivi: ci sono problemi da risolvere, sfide, movimento, avventure, immagini attraenti, situazioni eccitanti. Per queste loro caratteristiche possono divertire ma anche, quando si esagera, creare dipendenza e isolamento. Bisogna dunque mettere dei limiti, controllare i contenuti e offrire delle alternative. E invece a volte sono proprio gli adulti che incoraggiano i bambini a usarli perché così se ne stanno "tranquilli"».
A suo vedere, sempre parlando di schermi, un bambino di 4 anni che ama moltissimo i videogiochi a che cosa va incontro se rimane incollato allo schermo per due ore al giorno, ogni giorno? Ci sono rischi oggettivi per la salute psicofisica di un bambino così piccolo?
«I "compiti" fondamentali dello sviluppo tra zero e sei anni sono imparare a muoversi, a parlare e a socializzare. E' evidente, dunque, che una vita sedentaria in questi anni non è l'ideale. L'obesità è uno dei rischi fisici che ha delle conseguenze psicologiche. Un bambino che si abitua a uno stile di vita troppo sedentario rischia di trovarsi intrappolato in un gorgo da cui, più passa il tempo, più diventa difficile riemergere. Ecco il meccanismo di cui può diventare vittima: più fa vita sedentaria più ingrassa; più ingrassa più si sente a disagio con i coetanei che lo prendono in giro; più si sente a disagio con i coetanei più è indotto a giocare solo in casa di fronte alla consolle e a mangiare i prodotti degli spot per consolarsi».
La televisione e i neonati, sembra quasi incredibile che una rete televisiva come Sky abbia pensato ad una baby sitter di questo tipo, eppure fa parte della realtà e lo chiamano servizio alle famiglie. Non ritiene questo fatto sconcertante?
«Non solo sconcertante ma anche subdolo e disonesto nei confronti dei genitori a cui la baby tv è stata proposta come "supporto alle famiglie", "stimolo alla creatività e all'apprendimento", "compagna del bebè nella crescita". Ciò che più colpisce è che l'Osservatorio sui Diritti dei Minori non abbia ritenuto non solo di bloccarne la diffusione, ma neppure di segnalare rischi e danni possibili, supportando di fatto la linea dei produttori e dei distributori. Quando nel luglio del 2009 la baby tv entrò in Italia il presidente dell'Osservatorio, prof. Antonio Marziale, rilasciò una dichiarazione pubblica in cui affermava che siccome i bambini guardano già la televisione, un programma studiato per i più piccoli era accettabile, dimenticando però che le caratteristiche e le esigenze di crescita di un lattante sono ben diverse da quelle di un bambino di 8 anni o di 5. E' bene sapere che, nonostante le forti spinte del mercato, nella stragrande maggioranza dei paesi Europei questa tv non è entrata. In Francia dove, nonostante le proteste di molti cittadini e intellettuali, la baby tv va in onda (perché trasmette da territorio inglese e una normativa di Bruxelles lo consente), l'Autorità per le comunicazioni e il Ministero dalla salute di quel paese hanno imposto che in apertura dei programmi compaia questo messaggio: "Guardare la televisione può frenare lo sviluppo dei bambini minori di 3 anni, causare ritardi psicomotori, incoraggiare la passività, causare sovraeccitazione e turbe del sonno"».

Torna all'elenco | Versione stampabile

spazio
spazio spazio spazio
spazio spazio spazio