Venerdì 25 Febbraio 2011 - Libertà
Unità d'Italia, fenomeno estetico
Il critico Philippe Daverio parla dell'arte nel Risorgimento. Domani all'auditorium della Fondazione si chiude il ciclo di conferenze sulla nascita della nazione
piacenza - Con la conferenza di Philippe Daverio domani alle 18 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via S. Eufemia 12, si chiude il ciclo "Il Belpaese. Il racconto della nascita di una nazione", organizzato in collaborazione con il liceo scientifico "Respighi". Tema dell'incontro con il critico, docente universitario, direttore del mensile Art e dossier e conduttore della popolare trasmissione tv Passepartout sarà "L'arte e la cultura dell'Italia unita", lungo un percorso che condurrà idealmente anche nelle sale della Galleria d'arte moderna "Ricci Oddi".
Per Daverio, l'unità d'Italia rimane «un fenomeno prevalentemente estetico, letterario, musicale. Basti vedere figure come quella di Niccolò Tommaseo». L'autore di un dizionario della lingua italiana che rimane tuttora un testo riferimento fu patriota impegnato in prima linea nei moti del 1848 che porteranno alla proclamazione della sia pur effimera repubblica di Venezia. Ad Alessandro Manzoni si deve invece il capolavoro per eccellenza, con il romanzo dei Promessi sposi, «tentativo di forgiare una lingua che potesse essere adottata da tutti».
Nel secolo del melodramma, la letteratura parla anche attraverso i libretti d'opera: «Tutti i librettisti di Giuseppe Verdi, fino al Boito postunitario, raccolsero echi fondamentali del processo che si stava compiendo». In generale, il 1860, l'anno della spedizione dei Mille, segna uno spartiacque decisivo, perché «con il conseguimento dell'unità si assisterà presto al decadere di gran parte dell'energia che aveva contrassegnato i decenni precedenti». L'arte dunque si spegne, dopo aver fornito un contributo essenziale. Tra i pittori che celebrano il risorgimento c'è sicuramente Giovanni Fattori, «ma dipingeva a posteriori, utilizzando documentazioni fotografiche degli avvenimenti». Questo non gli ha impedito di realizzare quadri eccezionali come, osserva Daverio, La presa di Palermo. «Fattori rivela comunque sempre la sua radice anarchica, quella del Caffè Michelangelo e, come tanti altri pittori toscani, rimarrà deluso dalla disattenzione dimostrata dall'Italia unificata, che rimarrà piemontese».
La regione nord-orientale era allora culturalmente «la parte più debole della nazione. Era addirittura esclusa dai grandi circuiti operistici. Le prime verdiane si tenevano in tutti i teatri, mai però a Torino». L'artista che, contrariamente a Fattori, visse in presa diretta gli eventi, da autentico pittore soldato, è Gerolamo Induno, che combatté per la Repubblica romana e sul fronte della guerra di Crimea con i bersaglieri del generale La Marmora. La carta geografica dei centri principali della pittura ottocentesca attraversa la penisola: il Lombardo-Veneto di Francesco Hayez, la Toscana dei Macchiaioli, la Napoli di Domenico Morelli. «Si tratta di un fenomeno veramente trasversale che unisce gli artisti alla ricerca di un'origine comune, con lo stesso pathos con il quale la borghesia provava a ritrovare una sua identità».
Resteranno molto forti, anche dopo Roma capitale, i regionalismi: «Non nascerà infatti una pittura nazionale. Il primo tentativo lo metterà in campo il futurismo, che immaginava programmaticamente di abbandonare tutta l'eredità del passato. Negli anni Trenta, con Strapaese di Maccari e dei "maledetti toscani" amici di Malaparte si tornerà a prospettare il localismo più totale».
Anna Anselmi