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Venerdì 28 Gennaio 2011 - Libertà

All'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano protagonista la popolare vocalist nell'applauditissima anteprima del Festival jazz

PIACENZA - «Evviva il jazz! ». Rossana Casale a fine concerto ha prestato la sua voce inconfondibile ad una chiosa semplice e festosa per "benedire" l'ottava edizione del Piacenza Jazz Fest che partirà sabato 5 marzo dallo Spazio Le Rotative. Al gaio auspicio ha però aggiunto una nota accorata e inattesa, un appello doloroso, la speranza che il jazz possa «pulire l'aria. In questi giorni mi sento ferita come cittadina italiana: c'è una persona che se ne frega di noi e di tutti, forse perché ha troppi soldi. Allora per convincerlo a lasciare bisogna renderlo povero. Spegnere le sue reti, tutti insieme, anche solo per un giorno».
Inutile indugiare sull'ovvia identità della "persona" in questione; più interessante notare come la bella Casale, insospettabile nel suo mood pacato, nella finezza della sua giacca rossa dominata dalla vaporosa chioma bionda, abbia avuto l'ardire di «sporcarsi le mani» - e va detto - doppiando il già straripante bagaglio di lunghi applausi tributati a lei e ai magnifici Luigi Bonafede e Aldo Mella - «i "papà" del mio suono e del mio jazz pensiero» che l'hanno accompagnata con classe e profondità al pianoforte e al contrabbasso - dal pubblico che mercoledì sera ha gremito l'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano per il concerto di anteprima del festival organizzato dal Piacenza Jazz Club.
Nella monumentalità raccolta e riverberante dell'Auditorium, traendo spunto dall'album Billie Holiday in me il trio ha rinverdito con naturalezza e sciolta eleganza il chiaroscurale universo sentimentale di alcune delle più belle canzoni d'amore di Lady day attraverso interpretazioni rigorose ma anche piuttosto personali. Il timbro liquido della Casale, sostenuto da un bel senso del ritmo, dal rispetto del tema, da una pronuncia limpida e da una non affettata intensità "teatrale" capace di stringere una potente empatia con il pubblico, ha sondato, interiorizzato e cantato generosamente tutte le sfumature della passione, regalando anche diversi episodi scat intrisi ora di fanciullesca giocosità, ora di aspri patimenti.
Con la ballad You've changed ha restituito pienamente la dignità di un ricordo non macchiato dal rimpianto e con Don't explain tutta la tormentata mestizia del tradimento, prima sommessamente, poi liberando il ruggito di un vocalizzo lamentoso e sofferente da pelle d'oca. Nel più smaliziato swing di Easy to love ha esplorato una faccia meno drammatica del gioco amoroso, ritrovata con altro segno anche nell'invito slanciato e sognante ad accogliere l'affetto nella sua pienezza di For heaven's sake, lasciando poi attoniti per la carica struggente di una God bless the child vibrante di trasporto.
Dal canto loro i due musicisti, interpreti sapienti e cantabili, di grande tatto e sensibilità, hanno predisposto un morbido, vero e proprio volano melodico sul quale la voce della Casale si è poggiata e ancorata come in un alveo naturale, pur senza rinunciare al guizzo dell'improvvisazione che caratterizza la loro bontà come solisti, lanciandosi in "dispute" accattivanti tra la pepata godibilità del fraseggio di Bonafede e la travolgente verve ritmica e l'inventiva timbrica e melodica di Mella. Tra gli episodi migliori, Speak low, ammantata in un'atmosfera spirituale fatata e ancestrale che la stessa Casale ha voluto assorbire spartendo il seggiolino di Bonafede, con gli occhi bassi e la testa ciondolante. Forse il jazz non ha il potere di disintossicare l'aria pesante che si respira di questi tempi, ma momenti così valgono senza dubbio cento volte di più di una serata davanti alla tv.

Paolo Schiavi

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