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Lunedì 6 Dicembre 2010 - Libertà

I miti e contromiti del Rinascimento

Lo storico Mario Isnenghi per il ciclo "Il Belpaese. Il racconto della nascita di una nazione"

piacenza - Nel 1807 la pubblicazione del carme Dei sepolcri di Ugo Foscolo; nel 1870 il primo volume della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis. Lo storico Mario Isnenghi (università di Venezia) ha evidenziato queste due date come inizio e conclusione del Risorgimento, di cui ha passato in rassegna miti e contromiti, intervenendo all'auditorium di Santa Margherita, presentato da Carla Antonini, direttrice dell'Isrec, nel secondo incontro del ciclo "Il Belpaese. Il racconto della nascita di una nazione", promosso dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano, in collaborazione con il liceo scientifico "Respighi", in concomitanza con l'avvio delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, che si festeggerà nel 2011.
Un appuntamento cui si stanno preparando anche i fronti della polemica antinazionale, «principalmente rappresentati da leghisti, clericali e neoborbonici» ha esemplificato Isnenghi, invitando a mantenere sempre ben distinti i piani coinvolti: «C'è chi vuole usare il 150° anniversario dell'unificazione per fare politica nell'Italia di oggi. Il che in politica è lecito, perché, come in amore, tutto lì è permesso. Ogni tempo presente ha utilizzato a proprio vantaggio il passato. Non si deve però mai confondere la politica con la storia. Quest'ultima - ha rimarcato Isnenghi - si occupa dei fatti realmente accaduti in un determinato momento oppure, come storiografia, della loro ricostruzione storica. Compito non facile perché anche lo studioso è un cittadino, vive nel presente e vi è impregnato».
Sul tema, proprio in relazione al Risorgimento, Isnenghi ha pubblicato un saggio nell'antologia La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, a cura di Angelo Del Boca, Neri Pozza, in cui il docente veneto passa in rassegna la bibliografia che il fronte antinazionale ha prodotto. In Fondazione l'ha liquidata in generale «come paccottiglia», invitando ad avere "miti" di più ampio respiro: «Penso all'Europa unita, che non dobbiamo lasciar fare solo ai banchieri. Perché investire tanta passione nel dio Po, nel Monviso, nell'idea della Padania, quando possiamo mirare a obiettivi più grandi? ».
Per Isnenghi la forza dei miti è quella di configurarsi come «arma di mobilitazione emotiva prima che intellettuale». Miti che «vanno comunque presi sul serio». Ci mostrano anche aspetti che tendiamo a non vedere: «Riconciliarsi con la nostra storia significa riconciliarsi col conflitto. L'Italia vera nasce dal conflitto e lo incorpora stabilmente. Da qui i miti di Romolo e Remo, il fratricidio originario, ma anche le lotte tra guelfi e ghibellini. Il conflitto va recuperato come origine di tutte le cose. Il regicidio del 1900, l'uccisione di Matteotti, di Mussolini e di Moro sono grumi sanguinosi e tragici che appartengono alla storia vera».
Un'altra questione cui ha accennato Isnenghi è quella che ha chiamato della «doppia cittadinanza, con la quale dobbiamo convivere. L'Italia non è l'unico Paese cattolico, ma ha la prerogativa specifica di avere la sede papale a Roma». Il mito con cui si scontrarono i patrioti risorgimentali era la concezione «che il potere derivasse dall'alto e, ancora più in alto, da Dio. Vi contrapposero il mito che l'uomo potesse costruire il proprio habitat». I fautori dell'unità nazionale muovevano infatti dalla convinzione che «si fa l'Italia e si fa se stessi come cittadini, componente attiva della società, e non sudditi».

Anna Anselmi

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