Mercoledì 8 Dicembre 2010 - Libertà
Il cinema delle donne all'inizio del Novecento
Gli incontri legati alla mostra "Amaro calice" chiusi con l'intervento di Monica Dall'Asta
piacenza - Attrici, ma anche registe, sceneggiatrici, produttrici, addette al montaggio e alla distribuzione dei film: i primi passi della settima arte hanno potuto contare su un non trascurabile contributo femminile, finito però presto nel dimenticatoio. Di queste figure di pioniere, spesso straordinarie, ha parlato, all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, Monica Dall'Asta (università di Bologna), nell'incontro conclusivo del ciclo di conferenze dedicate all'approfondimento di alcuni dei temi sollecitati dalla mostra Amaro calice, in corso fino al 31 dicembre alla Galleria d'arte moderna Ricci Oddi. A introdurre l'appuntamento, Carla Recher, presidente del Soroptimist club di Piacenza, che ha promosso la serie di iniziative. Dall'Asta - curatrice degli atti del convegno "Non solo dive" e della riedizione italiana di Memorie di una pioniera del cinema (Edizioni Cineteca di Bologna), autobiografia di Alice Guy, la prima donna regista della storia del cinema - è impegnata nel progetto internazionale Women Film Pioneers Project, che indaga proprio sul misconosciuto apporto delle donne alla nascente industria cinematografica. «I nomi che emergono sono centinaia e in numerosi Paesi, tra cui l'Egitto, l'India, la Cina e la Tunisia». A inizio Novecento il cinema rappresentò dunque «un'opportunità professionale per le donne», in un momento che le vedeva decise anche nella rivendicazione dei diritti politici. Un boom di personale femminile si registrò poi durante la prima guerra mondiale: «Andarono a occupare i posti lasciati vacanti dal reclutamento di massa degli uomini». Il debutto della prima diva in assoluto del cinema muto, Asta Nielsen, era avvenuto nel 1909, ma l'affascinante attrice danese non si limitò alla recitazione: «Aveva una casa di produzione e collaborò alla sceneggiatura dei suoi film. In generale - ha evidenziato Dall'Asta - le dive ebbero spesso una capacità di controllo sulla produzione delle pellicole di cui erano protagoniste». Lo stesso divismo fu un fenomeno tipicamente femminile sotto un duplice aspetto: «Riguardò principalmente le attrici» e «venne determinato soprattutto dal pubblico femminile, più ampio all'epoca di quello maschile». Per le spettatrici, le dive diventavano «modelli di bellezza e di prestigio, di autorevolezza». Da qui l'affollarsi di donne alle porte delle scuole di recitazione. La diva italiana per eccellenza del cinema muto fu Francesca Bertini: «In un periodo in cui il cinema si caratterizzava ancora per una certa artigianalità, erano possibili professionalità a tutto campo, come quella della Bertini, che cercava i soggetti dei suoi film, li sceneggiava e ha montato diverse pellicole, oltre a dirigere Assunta Spina, accreditato però a Gustavo Serena». Nell'interpretazione delle dive, prevale il personaggio della "femme fatale", ma non mancano i ruoli d'azione portati sul grande schermo da Mary Pickford ("la fidanzata d'America") o l'anticonvenzionale donna eschimese di Asta Nielsen, che indossò pure i panni di una rivoluzionaria della banda di Zapata. Dall'Asta ha quindi tratteggiato l'attività di Pina Menichelli, fortemente influenzata dal clima dannunziano; Eleonora Duse, che approdò al cinema quasi sessantenne in Cenere dal romanzo di Grazia Deledda; la noleggiatrice Frieda King; la montatrice Esterina Zuccarone; la regista e produttrice Elvira Giallanella, "totalmente sconosciuta", che girò nel 1919 un film pacifista solo con bambini come attori; Elvira Notari, "la grande regista del muto italiano". Della sua prolifica produzione, che riscosse molto successo in Campania e nelle comunità di emigrati negli Usa, restano oggi due pellicole: È piccerella e 'A Santanotte, del 1922.
Anna Anselmi