Mercoledì 15 Dicembre 2010 - Libertà
Titani letterari, isolati dalla società
I docenti universitari Varotti e Bonazzi si sono confrontati sull'Innominato e su Jacopo Ortis, due figure che si caratterizzano per la loro grandezza
piacenza - "La sua vita era un soggetto di racconti popolari; e il suo nome significava qualcosa d'irresistibile, di strano, di spaventoso". Così Manzoni introduce la figura dell'Innominato nel XIX capitolo dei Promessi Sposi, dopo averlo evocato precedentemente come "un uomo o un diavolo".
Personaggio leggendario, eroe o meglio mostro dell'immaginario popolare, figura romanzesca dell'assassino che, improvvisamente, si converte: in una parola, l'Innominato è un titano. E come tale allora è stato evocato durante il primo degli appuntamenti della rassegna "Lezioni Letture" curata da Noemi Perrotta in collaborazione con i licei "Gioia", "Respighi" e "Colombini" e dedicata al tema "Titani ed eroi. Trasfigurazione di un modello umano: codici di comportamento e identità sociale". L'incontro, svoltosi all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, ha visto confrontarsi Carlo Varotti dell'università di Parma e Nicola Bonazzi dell'ateneo di Bologna intorno a "Jacopo Ortis e l'Innominato tra magnanimità e rifiuto della società": al centro del dibattito sono andate dunque due figure titaniche che, per motivi e contingenze diverse, si caratterizzano per la loro grandezza che li isola dalla società. La magnanimità del primo, Jacopo, si dichiara attraverso quelli che sono gli affetti: Ortis è magnanimo e riesce ad essere compassionevole, ossia ad avere "l'unica virtù non usuraia", come la definisce Foscolo. L'Innominato, almeno quello dell'edizione quarantana dei Promessi Sposi (in contrasto con il "conte del sagrato" di Fermo e Lucia che uccideva i suoi nemici addirittura in uno spazio consacrato come l'ingresso di una chiesa), invece si contraddistingue per una grandezza tutta terrena che trova come sua unica controparte Dio, ossia l'Assoluto: «L'Innominato non può confrontarsi con i piccoli tiranni come don Rodrigo, con gli uomini di potere come il conte zio - ha spiegato Varotti -, è un uomo che si interroga sul senso della sua sfida a Dio e che solo in lui può trovare una valida controparte», ha spiegato Varotti.
Ad accomunare i due personaggi è anche un certo tratto di eroe romantico che dà tuttavia luogo a esiti diversi: «L'Ortis è forse l'unico, grande testo romantico della letteratura italiana - ha dichiarato Bonazzi - perché presenta i grandi temi romantici della vita secondo le passioni, dell'esilio, del suicidio, della necessità della sepoltura come vincolo tra i vivi e i morti, dell'amore che è uno degli assi portanti del romanzo insieme all'odio verso gli stranieri, gli austriaci invasori e i francesi usurpatori della libertà italiana». Allo stesso modo l'Innominato è un personaggio di grandezza romantica: solo che i topoi dell'eroe romantico sono piegati ad una grandezza cristiana tutta moderna, quella dell'inquietudine del cuore umano.
Betty Paraboschi