Giovedì 25 Novembre 2010 - Libertà
«Per Selma, ho lavorato sulla cecità»
L'attrice Granelli sullo spettacolo "Buio" diretto da Rifici sabato al Verdi
fiorenzuola - Il buio può essere fisico, ma può anche indicare metaforicamente l'incapacità di guarire, lasciarsi curare, riuscire a curare. Buio è il titolo dello spettacolo che andrà in scena sabato sera al teatro Verdi di Fiorenzuola, secondo appuntamento della stagione di prosa. Spettacolo da vedere per tanti motivi: è un lavoro di drammaturgia contemporanea, su un testo originale giocato sia sui dialoghi che sul linguaggio del corpo; è diretto da Carmelo Rifici, uno dei registi teatrali più importanti del panorama italiano attuale (lavora al Piccolo di Milano e la scorsa estate ha diretto Fedra per il festival del teatro antico di Siracusa). Infine, ma non da ultimo, lo spettacolo è l'occasione di vedere all'opera un'attrice che ha mosso i primi passi a Fiorenzuola, suo paese d'origine: Mariangela Granelli, che qui è Selma, una donna cieca, bosniaca emigrata in Italia.
Mariangela di Selma parla come se esistesse davvero: «Selma non è una pagina scritta. Non è parola. E' un essere umano». Per generarla, il lavoro è stato lungo. «La gestazione di questo lavoro è importante - racconta la Granelli -. Il progetto Buio nasce oltre due anni fa, quando Carmelo Rifici (il regista) ci propose di lavorare sul tema del buio. La drammaturgia Sonia Antinori delineò poi alcune storie, senza ancora assegnare i ruoli. Io fui attirata da subito da Selma, ex attrice del teatro nazionale di Sarajevo, che perde la vista durante la guerra in Bosnia e che si ritrova emigrata in Italia. Nel momento in cui Selma e io ci siamo incontrate, il lavoro di drammaturgia si è costruito partendo dai canovacci fornitici da Sonia, su cui nascevano improvvisazioni».
Con la Granelli, un gruppo di altri bravissimi attori: Ilenia Caleo, Alessia Giangiuliani, Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Francesca Porrini, Alessio Maria Romano e Raffaella Tagliabue. Gli attori danno vita, corpo, sogni, paure a storie ‘piccole' immerse nella grande Storia malata del Paese, nei primi anni ‘90: tra la morte di Ilaria Alpi, la guerra a Sarajevo, la fine della dittatura in Romania, i sogni si frantumano in gesti e suoni che tentano disperatamente di recuperare una felicità perduta. In tre appartamenti di un grande agglomerato urbano del Nord, vivono due giovani coppie in crisi e tre stranieri scampati alla guerra e naufragati nel nostro Paese. Selma è tra questi.
Per questo ruolo, hai lavorato molto dal punto di vista emozionale ma anche tecnico.
«Anzitutto ho dovuto lavorare sulla cecità: ho frequentato l'associazione italiana ciechi di Torino (città dove ho abitato). Mi ha fatto capire come i non vedenti interagiscono con gli altri, come prendono possesso di uno spazio, come si muovono. Ho poi lavorato sull'accento straniero, incontrando una donna bosniaca emigrata, cercando di studiarne le inflessioni e il suono, perché ogni lingua ha una sua sonorità. Ho reso quasi impercettibile questo accento, per non fare di Selma una caricatura. Per farla nascere ho lavorato molto sulla differenza. Di solito, di un personaggio cerco gli aspetti che ha in comune con il mio carattere e la mia storia. Qui ho fatto esattamente il contrario, lasciando vivere Selma e non cercando mai di proteggerla. Il regista mi ha spesso ricordato come Selma (al pari dei protagonisti delle altre storie) sia una persona normale, anche mediocre se vuoi. Non va a tutti costi salvata, né dipinta come un'eroina. Selma ha delle durezze, delle chiusure».
Alle scene costruite sui dialoghi della Antinori, nello spettacolo, si alternano i "notturni" ovvero scene oniriche in cui a comunicare è il corpo. Cosa ti ha lasciato questo linguaggio?
«Il lavoro con Alessio Maria Romano è stato fondamentale per questo spettacolo ma non solo. Lui ha voluto usare i nostri corpi, con i nostri pregi, ma anche i difetti e i limiti. Mi ha fatto capire che un corpo è interessante è in scena quando è vivo, e non per forza quando è perfetto».
Lo spettacolo Buio, progetto di Carmelo Rifici e Alessio Maria Romano, è prodotto da Fondazione Teatro Due in collaborazione con Associazione Proxima Res.
Donata Meneghelli