Mercoledì 3 Novembre 2010 - Libertà
Perdersi nella quiete dopo la tempesta
In Fondazione successo per il nuovo appuntamento con le letture leopardiane
piacenza - Penultimo incontro del ciclo Incontri con Giacomo Leopardi, la messa in voce dei Canti del poeta di Recanati ospitati alla Fondazione di Piacenza e Vigevano e diretti dal professor Pierantonio Frare, dell'istituto di italianistica dell'Università Cattolica.
Un penultimo incontro che funge da perfetto apripista per la futura lettura de La ginestra, summa di tutto il pensiero leopardiano; infatti i due Canti proposti, La quiete dopo la tempesta e Il sabato del villaggio, sono anch'essi una sintesi di ciò che Leopardi riteneva circa il concetto di "felicità".
Due testi profondamente collegati tra loro, come ha detto lo stesso Frare, guida dell'incontro, che in effetti non sono mai stati divisi nelle varie pubblicazioni dei Canti, legati sia nelle tematiche che nella libertà metrica delle composizioni.
Il sabato del villaggio è l'immagine speculare della quiete dopo la tempesta, nell'immaginario di Leopardi: un prima ed un dopo, attese e ricordi, sempre e comunque eliminando il presente, nel quale non esistono felicità e serenità. «Questi due Canti, entrambi appartenenti ai Grandi Idilli, sono stati composti dal poeta nel medesimo periodo, il primo dal 17 al 20 settembre del 1829, il secondo tra il 20 e il 29 dello stesso periodo. Eppure, pur essendo così strettamente connessi tra loro, sono più importanti le differenze tra i due, che non le somiglianze».
La quiete dopo la tempesta, per esempio, si sviluppa prima come una descrizione, che si trasforma in una meditazione dell'"Io poetico" verso il finale, ed è in realtà una riflessione sul "male necessario": Leopardi stesso lo chiama «piacer figlio d'affanno».
Il canto, oltre ad utilizzare espedienti musicali molto piacevoli, come le allitterazioni e le rime interne che danno ritmo alla narrazione, sintetizza uno dei punti chiave della filosofia leopardiana: il piacere è provocato dal dolore, perché la felicità deriva solo dalla sospensione del male. Concetto capovolto ed integrato ne Il sabato del villaggio, dove il piacere è nell'attesa, nel futuro rappresentato dai personaggi della donzella e del garzoncello, al quale è rivolta l'ultima strofa. Eppure, ancora una volta il poeta inserisce nel testo la disillusione: la vecchierella e l'Io poetico, che interloquisce con il garzoncello, già sanno che il piacere non esiste, e passata l'attesa, resterà solo il ricordo.
Infine, la lettura di Salvino Dattilo ha evocato, con nuova consapevolezza, quelle parole e quei suoni che il poeta ha voluto imprimere sulla carta: una lettura delicata, a tratti sussurrata, come se davvero non si volessero disturbare quelle atmosfere di calma immortalate ne La quiete e il silenzio della notte ne Il sabato. Una lettura nella quale serenità e malinconia sono state perfettamente equilibrate e trasmesse ad un pubblico entusiasta.
Valentina Zilocchi