Sabato 6 Novembre 2010 - Libertà
«Italia, dopo 150 anni è da buttare»
Philippe Daverio oggi apre un ciclo di conferenze sull'unità
piacenza - «L'Italia è un prodotto culturale, non politico. La musica di Giuseppe Verdi, dal Nabucco alla trilogia popolare, e la pittura sono le vere testimonianze della volontà unitaria frutto di una presa di coscienza della borghesia». Il critico Philippe Daverio - che oggi alle 17.30 all'auditorium di via Sant'Eufemia aprirà con la conferenza "Immagini dall'Italia di metà Ottocento" il ciclo di incontri "Il Belpaese. Il racconto della nascita di una nazione", organizzato dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano in occasione del 150° anniversario dell'unità - invita a guardare all'Italia di adesso per constatare gli esiti del processo di unificazione e, a ritroso, cercare di capire come si sia svolto.
«Chiediamoci: Come mai l'Italia dopo 150 anni è tutta da buttare? ». Daverio denuncia una situazione sull'orlo del baratro e l'assoluta incapacità di tutelare il patrimonio culturale: «Siamo detentori di una quota significativa di beni dell'umanità; non il 70% come qualcuno ama ripetere, ma comunque una percentuale elevata. Però abbiamo certificato che non siamo in grado di conservarli». Perché «l'Italia, che appena dopo il 1860 era subito entrata in crisi - già la seconda generazione, quella della scapigliatura, si sentiva tradita - cominciò a plasmare l'unità vera nelle trincee della prima guerra mondiale e nella follia del fascismo. La Resistenza non è stata un movimento unitario, in quanto si verificò dalla Toscana in su. Per cui l'unica unità vera realizzata è stata l'economia delle concessioni, dalla tv alle autostrade. Altri tentativi sono stati l'Eni, l'Iri, l'Enel, alcuni sopravvissuti».
Per Daverio la comprensione di questa "unità mancata" passa per l'analisi del modo in cui si è costituito il nostro Paese, distinguendo tra «storia vera e circostanze assolutamente casuali. A Vittorio Emanuele, appassionato di caccia, bastava estendere il suo regno alla Lombardia, che comprendeva animali assenti in Piemonte; per Cavour, che amava i treni, era sufficiente giungere fino alla stazione di Ancona. Il Meridione si è aggiunto per caso. In Italia in realtà non esisteva un concetto di nazione, mentre si muovevano lungo la penisola forti interessi internazionali: gli americani e gli inglesi puntavano al Meridione, la Francia a erodere il potere dell'Austria. E' indicativo il fatto che Napoleone III era pronto a incoronare suo cugino re d'Etruria».
Lo stesso tributo di sangue fu anche straniero: «Non ci sarebbe stata l'Italia se nella battaglia di Solferino non avessero combattuto marocchini e senegalesi, schierati nell'esercito francese lanciato contro gli austriaci, sotto lo sguardo benevolo di Vittorio Emanuele», osserva ironicamente Daverio. Fondamentale per la causa nazionale fu inoltre l'apporto di intellettuali italiani che si erano formati oltreconfine, nelle grandi capitali, a Parigi come a Londra: «L'Italia è nata per caso, perché gli eventi e la forza popolare si sono dimostrati più dirompenti dei progetti politici dei protagonisti, ossia delle potenze europee le cui mire in quel momento erano collegate. Nessuno avrebbe pensato che dal colpo di mano di Garibaldi con la spedizione dei Mille in Sicilia si sarebbe ottenuto quel risultato che poi è stato raggiunto: l'unità d'Italia». Le aspirazioni della borghesia a un nuovo ruolo della società ebbero un parallelismo nelle arti, che raccolsero questi fermenti: «Ha fatto di più per l'unità d'Italia il caffè Michelangelo a Firenze di tanti politici».
Anna Anselmi