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Lunedì 8 Novembre 2010 - Libertà

Donne così belle, così suddite

La conferenza di Anna Maria Isastia per il Soroptimist

di ANNA ANSELMI
Alla galleria d'arte moderna "Ricci Oddi" lungo il percorso dell'esposizione Amaro calice, che coinvolge anche quadri dell'allestimento permanente, si vede come la donna veniva rappresentata tra la seconda metà dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, ma anche come trascorreva le sue giornate e l'immagine canonica con cui, seguendo i canoni estetici e della moda dell'epoca, si mostrava alla società. Queste raffigurazioni, nella seconda conferenza del ciclo ospitato all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano e organizzato dal Soroptimist di Piacenza, sono state calate nel contesto del periodo, grazie alla relazione di Anna Maria Isastia, docente di storia contemporanea all'università La Sapienza di Roma e vicepresidente nazionale del Soroptimist d'Italia.
Perché quelle signore eleganti, dolcemente malinconiche o sottilmente seduttive che ci guardano dai dipinti, centocinquant'anni fa vivevano in una condizione di sudditanza effettiva che oggi si faticherebbe a concepire. L'excursus di Isastia, introdotta da Carla Recher, presidente del Soroptimist Club piacentino, ha condotto dal 1860 ai giorni nostri, focalizzando le tappe principali dell'emancipazione in rosa. Nell'Italia unita la donna non godeva di diritti né civili né politici. «Quando non era sposata, se minorenne dipendeva totalmente dal padre oppure era relegata al rango di zitella, il più tragico e triste: a disposizione di tutti e priva di un ruolo nella società. La donna sposata era subordinata all'autorizzazione maritale, che le impediva qualsiasi iniziativa autonoma» ha spiegato Isastia, precisando come la situazione potesse rivelarsi particolarmente drammatica in caso di separazioni di fatto, di un consorte emigrato all'estero o comunque irrintracciabile: «La moglie da sola non poteva fare nulla. Non poteva comprare, non poteva vendere nessun bene». E si trattava di una donna che di solito non aveva un'occupazione. «I primi lavori svolti prevalentemente dalle donne sono quelli di maestra e di impiegata postale. Quest'ultima aveva l'obbligo del celibato, che non sussisteva invece per le insegnanti elementari. Era comunque difficile che qualcuno le sposasse. Giovani donne sole in paesi isolati potevano automaticamente contare su una cattiva fama». Lo scenario comincia a mutare nel Novecento: «Il fascismo segna una rottura, in positivo e in negativo. Cambia ogni cosa» ha evidenziato Isastia, sintetizzando poi ulteriori momenti fondamentali nel cammino di emancipazione: «Nell'Italia repubblicana assistiamo a una lunghissima fase di transizione. L'articolo 3 della Costituzione sancisce la pari dignità dei cittadini, ma occorrerà una sentenza della corte costituzionale del 1960 perché le donne conquistino il diritto di partecipare ai concorsi della pubblica amministrazione e soltanto dal 1963 una legge consentirà loro di accedere a tutti i concorsi, magistratura, prefettura e ministero degli esteri compresi». Altra data importante è il 1975, quando finalmente «la riforma del diritto di famiglia afferma la pari dignità con il marito nel matrimonio».

Anna Anselmi

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