Lunedì 8 Novembre 2010 - Libertà
«L'Italia della cultura è in ginocchio»
Successo per Daverio in Fondazione per il ciclo "Il Belpaese"
di ANNA ANSELMI
«Il crollo della Casa dei gladiatori a Pompei è il segno più inquietante dell'Italia di oggi». Un Paese che si appresta a celebrare il 150° compleanno, «ma non sa conservare il suo passato. In un Paese normale, un ingegnere di passaggio avrebbe detto che un tetto in cemento armato era troppo pesante per essere sostenuto da muri romani. Quella che è la prassi della conservazione normale, in cui una comunità ritrova la sua identità, non ha funzionato». Il critico Philippe Daverio, docente al Politecnico di Milano e all'università di Palermo, direttore di Art e dossier, nonché conduttore della trasmissione Passepartout su RaiTre, intervenuto all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, tutto esaurito al primo incontro del ciclo Il Belpaese. Il racconto della nascita di una nazione, introdotto da Eugenio Gazzola, ha accennato all'enorme impegno dimostrato in passato per festeggiare le ricorrenze nazionali: gli interventi urbanistico-architettonici nella capitale, le esposizioni internazionali a Torino e a Roma. Invece «per i 150 anni l'Italia non costruisce più nulla». Anzi, assiste all'incredibile notizia della distruzione di una porzione di Pompei, luogo tra i più visitati del mondo. Daverio ha evidenziato due criticità che congiurano contro la conservazione del patrimonio culturale: «Da una parte, gli italiani continuano a considerarlo di loro proprietà. Mi chiedo: Pompei è degli italiani o di chiunque in occidente studia il latino? Dall'altra, dobbiamo ammettere che dopo 150 anni non ce la facciamo più a conservare l'eredità che ci è stata trasmessa. Possiamo solo lanciare un movimento di opinione: Save Italy. Bisogna che ci salvino gli altri».
Ci sono stagioni del risorgimento il cui spirito Daverio ha invitato a recuperare: «Gli anni dal 1842 al 1860 sono stati fantastici. Soprattutto la spedizione dei Mille, in cui il senso di unità poggiava su un progetto repubblicano e una cultura artistica e letteraria condivisa. Fu un momento breve, ma straordinario. Guardandolo oggi ci potrebbe infondere un po' di energia». Sull'impresa compiuta dalle camicie rosse, Daverio pubblicherà prossimamente un documento inedito in cui l'itinerario da Quarto a Palermo è disegnato e descritto da un diciannovenne bresciano che prese parte al viaggio dei Mille: «Ho riguardato le biografie dei partecipanti. La spedizione dei Mille è stato l'unico tentativo di formare in Italia una borghesia. I Mille rappresentavano uno spaccato dell'Italia che lavora e che fu decisiva per il processo di unificazione, contro la voglia della politica e di alcune potenze internazionali, il cui progetto non aveva nulla a che vedere con i desideri popolari. La domanda è: Come si fa oggi a trovare mille persone così? ».
Riguardo la realtà attuale, il critico ha rilevato come nell'Ottocento «la macchina complessiva della cultura aveva allora un'influenza che adesso non ha più. La vera crisi dell'Italia negli ultimi 30 anni non è politica, né produttiva, né industriale, ma è una crisi culturale». Un esempio? «Basti vedere l'operazione compiuta a Firenze di esporre il teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst a Palazzo Vecchio per attirare l'attenzione sulla città. La vera crisi è una crisi estetica».