Mercoledì 10 Novembre 2010 - Libertà
Rossini, nonsense sublime
Bussi e quattro voci alle prese con "L'italiana in Algeri"
piacenza - «Quando Padre Mattei, maestro di Rossini, sollevava un'osservazione sulla sua musica Rossini rispondeva: "Piase a me" e con questo liquidava l'argomento».
Questa una delle curiosità che il professor Bussi ha illustrato lungo il suo intervento per la seconda conferenza-concerto del ciclo L'esotico nel melodramma, organizzato dalla Tampa Lirica in collaborazione con la Regione Emilia Romagna e il Conservatorio Nicolini, che si è tenuto l'altra sera in Fondazione.
Al centro dell'analisi e dell'ascolto L'Italiana in Algeri che Rossini nel 1813, a 22 anni, compose in soli 27 giorni. Questi numeri ci danno immediatamente la misura del genio.
Un'opera che il maestro Bussi ha definito «un capolavoro, una buffoneria smodata, una onomatopea verbale»; emblematico in questa direzione il finale del primo atto in cui i protagonisti cantano un nonsense, una sorta di caos organizzato, di confusione armoniosissima.
Isabella (contralto), l'italiana in Algeri, è la prima femminista ante litteram. Dopo un primo disorientamento quando sbarca sul lido di Algeri, prende in pugno la situazione e riesce a raggiungere il suo obiettivo: liberare Lindoro (tenore) dalla schiavitù di Mustafà (basso buffo), facendosi aiutare da Taddeo (baritono), anch'egli innamorato di lei. L'ambientazione esotica, insieme all'irresistibile invenzione musicale, permise al grande Rossini di far accettare alla censura del 1813 il testo per quei tempi molto audace e ricco di allusioni appena velate.
L'arabesco, il ghirigoro, il vocalizzo, così come il ritmo, la mescolanza ritmica sottolineata anche dai diversi timbri orchestrali, sono la cifra della genialità rossiniana.
Con il dono della sintesi, proprio del musicologo, il professor Bussi ha concluso il suo illuminante intervento racchiudendone la definizione in questa frase: «L'Italiana in Algeri è un nonsense elevato al sublime».
A seguire, accompagnati al pianoforte dal maestro Corrado Casati, il mezzosoprano Sara Nastos, il tenore Leonardo Cortellazzi, il baritono Dario Giorgelè e il basso buffo Giancarlo Tosi hanno dato vita a diversi momenti dell'opera.
Sara Nastos è entrata in scena raggiante nelle vesti di Isabella con la sua aria di apertura Cruda sorte, in abito rosso con paillettes rosse e dorate. Giorgelè (Taddeo) ha interpretato insieme alla Nastos il duetto Ai capricci della sorte in cui i protagonisti decidono di fingersi parenti («sarem nipote e zio») per "gabbare" Mustafà.
Il tenore Cortellazzi ha dato una bella prova con l'Aria di Lindoro, una difficile aria rossiniana.
La trama si svolge e Mustafà vuole rifilare Elvira (sua moglie) a Lindoro e gli elenca tutte le qualità di questa donna; abbiamo quindi apprezzato il duetto di Lindoro e Mustafà, Cortellazzi e Tosi, tenore e basso, Se inclinassi a prender moglie.
Isabella lungo l'opera si rivela donna scaltra e sveglia come nel primo incontro con Mustafa: il duetto Oh che muso, che figura (Nastos-Tosi) ci ha presentato il divertente momento in cui Isabella con due occhiate già capisce chi ha di fronte. Altrettanto giocosa l'aria di Taddeo-Giorgelè vestito da Kaimakan, riconoscimento datogli da Mustafà. Dopo il tipico Rondò finale rossiniano interpretato da Isabella-Nastos Penso alla patria, la serata si è conclusa con un momento comico: l'aria Le femmine d'Italia, cantata da Haly, personaggio secondario inserito da Rossini come da prassi nei cambi scena. E' stata l'occasione per creare un divertente gioco delle parti tra Giancarlo Tosi e Dario Giorgelè, che si contendevano la scena nell'interpretazione dell'aria.
Lea Rossi