Domenica 14 Novembre 2010 - Libertà
Un viaggio che insegna a rispettare la vita
Il viaggio era stato lungo, ma non mi ero annoiata. L'autostrada del sole era sempre la solita. Affollata di auto e di camion. Piena di lavori in corso… Sono uscita a Rimini Sud. La mia meta era San Patrignano, la comunità famosa in tutta Europa, che accoglie persone - prevalentemente giovani - che hanno avuto problemi di tossicodipendenza. Obiettivo del mio viaggio era fotografare questa realtà, dove si trovano anche alcuni giovani della nostra città; ma come scattare questa istantanea? Erano giorni che ci pensavo e soprattutto ci avevo pensato durante il viaggio: ero partita presto da Piacenza, il traffico era intenso e dovevo andare piano e stare attenta. Tuttavia il pensiero era fisso, pressante come l'aspettativa: "Come imposto il servizio, una cronaca o un racconto in prima persona? " A Bologna avevo deciso. "Racconterò - ripetevo tra me e me - la mia esperienza di questa giornata, impegnativa, ma coinvolgente e ricca di emozioni".
Ora che mi accingo a scrivere e la giornata è finita, fissata per sempre nel bagaglio dei ricordi più cari, sorrido… Visitare San Patrignano, conoscere le persone che vi lavorano, quelle che ci vivono in attesa di iniziare una nuova vita; è un'esperienza che non può essere raccontata. Deve essere vissuta! Quindi ben venga la mia intuizione del racconto in prima persona, praticamente in diretta. Che è l'unico tentativo possibile di trasmettere il senso di questo "viaggio"…
Ore 7 Partenza
Sono giorni che mi preparo. Ho letto il sito riga per riga, raccolto informazioni, sentito pareri. La settimana scorsa ho visitato la sede di Anglad di Bologna, l'associazione dei "genitori contro la droga", che funge spesso da collegamento con la comunità. Mi sono fatta un'idea… Ma mano mano che questa idea prendeva forma, aumentava l'aspettativa. Per quell'incontro. Per la visita che mi avrebbe portato a conoscere i ragazzi, i coordinatori e forse anche qualcuno dei responsabili e degli ideatori. Così parto: computer (che so che non potrò usare, ma che ormai è un corredo irrinunciabile), macchina fotografica, immancabili notes per appunti. Jeans di rigore, perché chissà mai, che nonostante i tanti anni di differenza, vestita da ragazza mi senta più a mio agio tra tanti giovani… Il viaggio è lungo ma passa in un attimo e il bip del telepass mi scuote quasi dai pensieri, tutti rivolti alle prossime ore. Poi, la strada sale per alcuni tornanti. Il panorama cambia velocemente e in men che non si dica la collina prende il posto della pianura. Parcheggiare è facile. Sono arrivata. In perfetto orario. Adesso si. Comincia il viaggio...
Ore 10 Accoglienza
Chi pensa ad una "comunità", si fa forse l'idea che si tratti di una specie di carcere: scuro, quasi cupo, tutto cemento. Io questa idea non ce l'avevo, perché il carcere l'ho visto dal vivo e pensavo che dovesse esservi differenza. Tuttavia mi immaginavo una struttura un po' vecchiotta, molto tradizionale; una specie di casermone. E qui arriva la prima sorpresa. San Patrigano sembra un villaggio turistico: costruzioni molto piccole, immerse nel verde con siepi basse e ringhiere aggraziate, a colori tenui che s'inseriscono bene nel paesaggio collinare. La portineria è una casetta più piccola delle altre. Dentro ci sono due ragazzi in una specie di ufficietto. Sono loro che comandano la sbarra e il cancello. Mi avvicino, mi presento e spiego che all'ufficio stampa mi aspettano per farmi visitare la comunità. Ed ecco che nella loro risposta semplice e immediata si stabilisce il primo contatto. "Ciao, mi dicono - ti aspettavamo. Sei stanca, vuoi bere... Lì c'è una piccola sala d'aspetto. Solo qualche minuto: chiamiamo Piero... ".
Rispondo, scambio due parole e subito mi trovo bene. Mi sembra di respirare un clima che conosco e che risale a tanti anni fa, un clima che a volte mi capita di rincontrare quando accompagno i miei ragazzi in vacanza. Inizia, insomma, quella sensazione, che non mi abbandonerà mai in tutta la giornata (e che poi confronterò anche con altri, che mi daranno ragione): di trovarmi in un mega "campo", cioé quelle vacanze che le parrocchie e l'associazionismo cattolico, organizzano soprattutto in estate. Qui la religione non c'entra. Ma lo spirito è lo stesso. Al centro c'è la persona.
Mentre mi riposo e bevo qualche cosa e spengo il cellulare (nessuno me lo chiede, ma visto che i ragazzi non ne hanno e non possono telefonare, mentre possono scrivere a casa lettere tradizionali), capisco ancora di più che quella che mi appresto a vivere sarà un'esperienza che non dimenticherò. Arriva Piero. Sarà lui la mia guida, o meglio una delle due perché a supportarlo vi sarà anche un altro ragazzo. Parliamo di quello che faremo: "Ho preso la macchina - mi dice - perché la comunità è grande. Ora inizieremo a visitare il centro grafico". Mi spiega anche che a San Patrignano non potrò fumare (ma a me non interessa perché non sono una fumatrice): "Una decisione presa un paio di anni fa. Era costoso, perché le sigarette (circa 4 per ragazzo) le metteva la comunità, e soprattutto non fa bene; e quindi anche per coerenza con lo stile di vita che ci diamo, abbiamo deciso così. Qualcuno è andato via; ma molti hanno capito". Aggiunge anche che i ragazzi non hanno soldi in tasca, né roba da mangiare. Anche i vestiti e gli effetti personali arrivano in pacchi concordati con le famiglie; mentre per chi non può riceverli, provvede la comunità. Gli ripeto, come gli avevo già detto al telefono, che vengo da Piacenza e mi piacerebbe incontrare qualche ragazzo proveniente dalla mia città. "Sono molto pochi - dice - si contano sul palmo di una mano. Comunque uno lo incontreremo…"
Mi spiega, mentre saliamo in auto per raggiungere il centro polifunzionale, dove ha anche sede l'ufficio stampa, che è ormai al termine del percorso. "La mia - mi dice - è una storia come tante altre. Una specie di voragine in cui sono caduto e nella quale mi sono dibattuto per anni. Gli ultimi tempi ero disperato in una situazione di completa solitudine. E' stato mio padre a tirarmi letteralmente fuori e a portarmi qui".
Piero parla con serenità della sua storia passata. E' evidente che la ha accettata e ha deciso di affrontare una nuova vita, senza rinnegare quello che è stato. E' abbastanza robusto per parlarne. Anche con una sconosciuta, come me. Arriviamo nel centro grafico. In uno studio molto moderno si muovono i ragazzi, coordinati da un professionista esterno che mi spiega come questa attività è ormai proiettata verso l'esterno con uso di Internet, assolutamente vietato a San Patrignano e quindi prevede una selezione iniziale anche in base alla fase del programma in cui i ragazzi si trovano. "Al termine - mi dice - escono con un diploma di scuola professionale. E siccome la maggior parte ha un diploma di scuola media, completano anche l'obbligo scolastico. Questo che abbiamo visitato per prima - mi dice Piero - è uno dei settori, che complessivamente sono più di 20 in cui sono impegnati i ragazzi". Ecco allora che la visita continua: officina grafica, laboratorio stoffe, ancora laboratorio decorazioni, falegnameria e molto altro…
"Ma sono quasi tutti ragazzi. Le ragazze non vengono? " domando un po' stupita… E qui scopro una verità che non immaginavo: "La tossicodipendenza è più insidiosa per i maschi. Le ragazze sono più forti, più determinate ci cascano meno. Anche se quando accade; il recupero è molto faticoso. Perché per una ragazza è più facile ottenere la roba; purtroppo per loro c'è una strada molto semplice, che non esitano quasi mai a percorrere. E quindi è più difficile decidere di iniziare una nuova vita". Così mentre saliamo e scendiamo dall'auto, visitando la comunità che si rivela sorprendentemente attrezzata, molto gradevole da vedere, colorata, moderna; inizio a parlare con i ragazzi. Tutti gentili, educati, preoccupati che io i trovi bene, che non mi affatichi a portare la borsa troppo pesante e piena di cose in realtà inutili che mi sono portata dietro...
Sono proprio come non avevo avuto il coraggio di sperare! Raccontano sereni delle difficoltà dei primi tempi, ma anche delle molte amicizie che hanno stretto, delle capacità che hanno scoperto di avere e che non immaginavano. Raccontano di un rinascita, ma anche di un abisso nel quale sono caduti, senza nemmeno rendersene conto. Oggi la droga - mi spiegheranno più tardi - rischia di diventare un'emergenza misconosciuta. E' quasi un bene di consumo. Dalla marijuana all'ecstasy, dall'alcol vissuto come una droga, alla cocaina, agli psicofarmaci, all'eroina: senza mia bucarsi. Nella convinzione che se non ti buchi una vena non sei un tossico, sei uno che prova. Così oggi ci sono i drogati "normali", non più quelli di anni fa, che erano visibilmente a disagio, chiaramente "tossici". I drogati di oggi girano invisibili per le strade, nelle scuole, nei posti di lavoro…"
Gian Paolo Brusini, responsabile scientifico di San Patrignano, è anche responsabile del programma di prevenzione. Nel quale si inserisce il progetto educativo di prevenzione del disagio giovanile e della tossicodipendenza, Wefree, che la Comunità di San Patrignano sta realizzando in tutta Italia, con la collaborazione del Miur (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca) e che è anche approdato a Piacenza la scorsa primavera proponendo, grazie al sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano, alle scuole due spettacoli: Ragazzi permale e Fughe da fermi. Che hanno a dir poco incantato tra sorrisi e lacrime, i ragazzi piacentini. "I nostri spettacoli - spiega Brusini - sono costruiti volutamente in modo emotivo. Parlare dei danni che causa la droga non è efficace: bisogna capiscano che si sta parlando di loro. Di storie come le loro. I ragazzi devono raggiungere la consapevolezza che la droga è solo una strada per non affrontare le difficoltà della vita. La causa del disagio è l'incapacità di bastare a sé stessi. La nostra - conclude sorridendo - è un'azienda che lavora per avere meno clienti possibile! "
Ore 12 Pranzo
La mattinata è stata intensissima. Ma a mezzogiorno in punto tutta San Patrignano si ferma per il pranzo. E noi con gli altri. Entriamo nell'enorme mensa, che produce 2600 pasti al giorno e che è la più grande d'Europa. L'ordine e la compostezza regnano sovrane. Ognuno occupa il suo posto. A noi è riservato un tavolo in angolo, che trovo curiosamente apparecchiato con bottiglie di acqua minerale. "Per me? - scherzo - Ma io bevo l'acqua del rubinetto anche a casa! " Ci sediamo. Mi spiegano che la cucina ha turni molto organizzati e che lavora molto intensamente. A mezzogiorno in punto suona la campana. Tutti in piedi. Qualcuno - tra cui noi - si fa il Segno della Croce, altri restano in silenzio. Mi spiegano che è tradizione di San Patrignano, sottolineare con un momento di silenzio il privilegio di avere ogni giorno i pasti assicurati. Io non mi stupisco, anche perché ancora una volta rispolvero i ricordi dei campi scout. Passa la roba da mangiare: e io che sono abituata a non sprecare niente e a finire tutto, faccio anche economia, come sempre, dello zucchero del caffè. "Ti troveresti bene, qui con noi"; ridono i ragazzi. Racconto loro delle tradizioni contadine, delle quali mi occupo tutti giorni, di conservare il pane di ieri - che è anche il titolo di un bel libro di Enzo Bianchi -, di serbare caro il cibo. Di apprezzare la natura, di accettare le bizze del tempo, di non dare per scontato il raccolto. Mi ascoltano con interesse. Non li annoio. A qualcuno scappa: "Beata te! Deve essere gente simpatica! Un bell'ambiente per lavorare". Per me, che come tutti mi lamento spesso del mio lavoro, è anche una bella lezione! Il pranzo finisce e mi annunciano che stiamo per recarci al maneggio e poi alla cantina e al caseificio: qui incontrerò i ragazzi di Piacenza.
Ore 13,30 La visita continua
E' già passata l'una e c'è ancora molto da vedere. Sanno che sono un agronomo e quindi vogliono farmi visitare con cura la parte agricola.
La cantina è splendida. Molto moderna, ma con una sala di degustazione preziosa, che mi spiegano è stata costruita, affrescata, - le ragazze delle decorazioni ci hanno messo più di un anno a completare il soffitto - curata negli arredi e nelle finiture completamente dai ragazzi.
Un esperto mi illustra i vini, le tecniche agronomiche, le metodologie di cantina… Passiamo al caseificio. Anche qui la qualità traspare da ogni dettaglio.
"Tirate fuori il buono di questi ragazzi... ", commento. "E ce ne è tanto" - mi assicurano. "Non ho dubbi" - rispondo, mentre un pensiero corre, e non è la prima volta nella giornata, direttamente ai miei figli e al tanto lavoro che cerco di fare ogni giorno con loro.
Passiamo al maneggio. Io non so nulla di cavalli e mi spiegano tutto. Mi raccontano anche del concorso ippico di luglio, delle tante iniziative, che organizzano.
Ed è proprio qui sugli spalti della tribuna del maneggio, che incontro i piacentini. Sono due in questo momento a San Patrignano, ma io parlerò solo con uno. Marco - il nome è di fantasia - mi riconosce subito dall'accento. E cominciamo a parlare: ha poco più di 20 anni. Potrei essere sua madre, ma questo sembra non preoccuparlo. "La mia storia - dice - non è diversa da molte altre. Ho cominciato a fumare nei locali della città e poi via via fino alla dipendenza. " Anche la storia di Marco si muove nella normalità. Dalla famiglia, agli amici. Non c'è nulla di particolare, di fuori dalle righe. "C'erano dei silenzi - dice Marco -. Troppi. C'erano cose di cui non volevo parlare. Argomenti tabù, che riguardavano il mio futuro…"
Come sei arrivato a conoscere San Patrigano? "Sono stati i miei ad interessarsi. A propormi questa strada. Che però per noi piacentini è di accesso piuttosto difficile". Perché? "Per entrare in comunità è fondamentale il ruolo dell'associazione dei genitori (Anglad), che svolge tutto il lavoro di contatto e di preparazione all'ingresso. Attraverso l'associazione si comprende direttamente lo spirito che muove il lavoro di questa comunità: bisogna essere decisi della scelta perché il risultato sia efficace e entrando in contatto con Anglad ci si rende perfettamente conto che questo è un presupposto fondamentale. Altrimenti si perde tempo. " Purtroppo però a Piacenza l'associazione non esiste. Le più vicine sono a Reggio Emilia, a Modena, a Bologna o a Milano. Questo scoraggia molto le famiglie, anche perché è necessario mantenere un contatto continuo, partecipare a tutte le riunioni, che si svolgono la sera e richiedono molta assiduità. Oltre queste difficoltà, però il volto di Marco, che ormai sta concludendo il percorso, rivela sicurezza di sé. Consapevolezza di avercela fatta. E' sorridente e spigliato e mi fissa negli occhi senza timore: "E'stata dura? " gli domando. "Ci sono stati momenti difficili, - dice - ma qui non è poi così male. Mi piace il lavoro che faccio qui al maneggio e penso che magari continuerò ad occuparmi di cavalli".
Gli spiego la mia teoria del campo scout. "Hai ragione - dice - magari a Spettine o alla Bellotta... " Per la prima volta fa la sua comparsa la nostalgia della sua terra. Che subito però lascia il posto alla certezza di tornare a casa. Ma come è nella nostra città il mondo dei giovani che scivolano nella tossicodipendenza? "Come nelle altre città di provincia. La droga ce l'hai sempre vicina. Ma non te ne rendi conto. Tutti conoscono qualcuno che fuma, che prende le pastiglie, ma nessuno è un tossico. Sono tutti in prova. Tutti convinti di avere tutto sotto controllo. Di smettere quando vogliono. E invece non è così. E quando si capisce è troppo tardi".
Non chiedo a Marco, perché un ragazzo si avvicina alle sostanze. So - ed è tutto il giorno che me lo spiegano - che i motivi sono tanti e c'entrano anche con la famiglia, che però nella storia di Marco, come in molte altre a lieto fine che mi hanno raccontato, è anche la prima protagonista della ripresa. Sono sempre le famiglie che "salvano" questi ragazzi e Marco non fa eccezione.
Prima di salutarlo, gli racconto dello spettacolo di questa primavera, dei ragazzi di Piacenza catturati dalle storie di Ragazzi permale e di Fughe da fermi. Sorride e in quel momento mi sembra finalmente un uomo. Uno, che sa dove vuole andare.
Ore 17 Ritorno
E' arrivato il momento dei saluti. Li ringrazio e li fisso con caparbietà. Voglio ricordare bene il loro sguardo. Di gente che ce l'ha fatta. Poi mi allontano un po' in fretta, perché da sempre detesto gli addii. Sono stanca e voglio partire prima che il peso della giornata si faccia sentire troppo. Riprendo il cellulare, sbrigo le telefonate, chiamo a casa (i ragazzi non ci sono, sono in giro per allenamenti e varie diavolerie..). Ricostruisco i passaggi delle ultime ore. La giornata ha dato molto...
Finalmente, a Reggio Emilia arriva la telefonata da casa: mi aspettano, ma è tutto a posto. Rallento. Penso che me la prenderò con calma.
Ho ancora quasi 100 chilometri per ripensare a tutto. Ma soprattutto per trovare le parole per raccontare gli incontri di oggi. Per trasferire l'esperienza di questa giornata. Fatta di molti sentimenti e di qualche certezza.
Una per tutte: i ragazzi di San Patrignano saranno, chi prima e chi dopo, pronti per spiccare di nuovo il volo!
Claudia Molinari