Giovedì 28 Ottobre 2010 - Libertà
Famiglie preoccupate per il lavoro e le prospettive dei figli
Dalla prima pagina
Solo grazie agli stranieri, in primis albanesi, rumeni e marocchini, il saldo naturale negativo (nati meno morti) viene compensato dai positivi saldi migratori.
Ne consegue che la popolazione indigena è sbilanciata verso le classi di età più elevata. Anche da questo punto di vista gli stranieri riequilibrano la situazione: a fronte di un'età media degli italiani pari a 48 anni, gli stranieri hanno in media 30 anni.
Una seconda contraddizione della nostra demografia si osserva a livello territoriale: in montagna il 40% ha più di 65 anni, solo il 7% meno di 15 anni; l'età media è quindi di 56 anni. Spesso nei paesini appenninici abbiamo solo uno o due bambini, che diventano un "tesoro" prezioso per queste comunità.
La terza contraddizione è di tipo economico perché appare ancora squilibrato l'indice di ricambio, ovvero il peso di chi sta per uscire dal mercato del lavoro sulle fasce di popolazione in ingresso. Questo indice è ancora salito ed è oggi pari a 148 (ogni 100 persone tra i 15 e i 20 anni, 148 hanno 60-65 anni).
Ciò significa che il peso dei pensionati diventa sempre più rilevante, superando a Piacenza le 90 mila unità.
La quarta evidenza contraddittoria è proprio quella connessa alle famiglie, che come numero complessivo continuano a crescere, oggi oltre 128 mila (+1% nell'ultimo anno), ma questa crescita deriva ancora dalle famiglie straniere e soprattutto dai nuclei familiari con un solo componente, pari oggi al 36% del totale delle famiglie.
In generale i tassi di fecondità sono risaliti leggermente ma sono ancora molto contenuti. Se in Irlanda e in Francia il numero di figli per donna è superiore a 2, l'Italia rivela un indice di 1,42 al di sotto dei livelli di "sostituzione sociale" (in Emilia Romagna ed a Piacenza 1, 48). Perché?
La scarsa natalità deriva prima di tutto dalle insufficienti politiche per la famiglia che l'Italia ha attivato in questi ultimi decenni, al di là dei tanti proclami fasulli dei partiti. Cosa fanno infatti i paesi che aiutano davvero le famiglie (Irlanda, Francia, Svezia)?
In primis servizi alla prima infanzia, reti diffuse di asili nido, microstrutture con orari flessibili, centri genitori-bambini. Su questo fronte a Piacenza abbiamo registrato una piccola rivoluzione positiva nell'ultimo decennio, con incrementi ragguardevoli di servizi pubblici e privati, soprattutto se comparati con tante altre province italiane, ma le domande inevase sono ancora alte.
Le pratiche migliori all'estero prevedono poi sostegni alle famiglie tramite assegni familiari, incentivazioni fiscali, borse di studio e trasporti gratuiti per i ragazzi, politiche di conciliazione con incentivi alla aziende che promuovono i congedi, il part time e gli orari flessibili. In Italia la politica nazionale su questo fronte è davvero arretrata.
Ancora le politiche per la casa, che sappiamo essere essenziale per ogni nuova famiglia. Anche su questo fronte il ritardo italiano è preoccupante: a Piacenza verrà presento presto uno studio promosso dalla Fondazione sul social housing per progettare forme nuove e sostenibili di costruzione e assegnazione di abitazioni a prezzi convenzionati per le nostre famiglie.
Speriamo bene. Sì perché la speranza nella vita e nel futuro è l'altro fattore critico del nostro tempo e per le nostre famiglie. La denatalità dipende da fattori economici e sociali, ma anche culturali. Sembra quasi che la paura schiacci oggi le nostre speranze, per il lavoro, il futuro, i figli. Ma fortunatamente "La paura non può essere senza speranza" (Spinoza).
Paolo Rizzi