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Sabato 11 Settembre 2010 - Libertà

Angil dal dom 2010 Domani sarà consegnato il premio voluto dalla parrocchia della cattedrale e dalla Fondazione

«La missione in Brasile è la cosa più bella che mi sia capitata nella vita, dopo la vocazione sacerdotale», parole pronunciate da don Giancarlo Dallospedale con la luce della fede negli occhi. Il sacerdote originario di Pontenure, nato nel 1943, domani riceverà il premio Angil dal Dom 2010, il riconoscimento assegnato ad un piacentino che "ha tenuto in alto il nome della sua terra nel mondo", voluto dalla parrocchia del Duomo e dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano.
Incontriamo il monsignore, titolo di cui farebbe a meno «oggi non interessa più a nessuno», a Centovera nella casa della sorella Lidia, vivacizzata dai nipotini Andrea e Camilla. E' arrivato dalla "sua" Roraima, la diocesi nel nord del Brasile di cui è vicario generale, da pochi giorni ed è reduce dall'ospedale di Bologna dove si reca annualmente per controlli sanitari in seguito al "brutto male", ora sconfitto.
Uno spirito e una passione per «la più bella cosa», accese come il primo giorno quando, nel 1979, era volato oltre Oceano, a Vitòria da Conquista, poi in altri luoghi di quello sterminato Paese dove la diocesi piacentina ha inviato i suoi messaggeri di Dio per l'evangelizzazione, per rispondere al bisogno del Soprannaturale di quelle popolazioni: indigeni, poveri agricoltori, derelitti delle favelas.
«A Roraima pratichiamo la "pastorale di frontiera" in accordo con i vescovi di St. Helena, in Venezuela e di Georgetown, nella Guyana Britannica, Paesi nostri confinanti». Un lavoro in più, problemi esplosivi che ledono ogni diritto: «Qui vivono anche 30mila rifugiati della Colombia e di altre nazionalità dall'America latina; qui si registra la scomparsa di centinaia di minori, braccati dai trafficanti per lo sfruttamento sessuale; di qui passa il fiume di droga dalla Colombia verso il resto del continente sud, qui è emigrata la gente del sud per trovare nuova terra da coltivare».
L'evangelizzazione dei missionari diocesani piacentini che si sono avvicendati dagli anni Settanta.
«Pur tra i mille problemi di vita quotidiana, della sopravvivenza, la gente ha bisogno di sentirsi amata, di sentirsi valorizzata, è questo il significato di essere qui, in mezzo a loro, di testimoniare la parola del Vangelo. Sento questa esperienza come un privilegio».
Un privilegio che lo porta negli incontri con comunità indigene che mai avevano incontrato un "uomo di Gesù". «Dieci giorni fa sono arrivato in due villaggi della foresta, abitati da alcune centinaia di famiglie, perché finalmente era stata aperta una strada. La gente mi ha chiesto subito il battesimo, i sacramenti, la messa, ma non sono azioni da improvvisare. E' stato uno "scossone" che ci fa capire quanto c'è ancora da fare». Roraima, un popolo in cammino tra immigrazione interna, dal sud al nord del Paese, tra indigeni urbanizzati nelle periferie degradate dove perdono la loro dignità, la loro identità. «I vescovi hanno lanciato l'sos sul bisogno di sacerdoti e religiosi in Amazzonia, dove la popolazione è in continuo aumento, prima alla ricerca dell'oro ed ora per la fame di terra».
La "rivoluzione" del presidente Lula non è compiuta, i ricchi sono sempre la classe forte e i poveri sono delusi, poche le speranze concretizzate a quasi dieci anni di governo «i giovani vanno sempre meno a votare, le aspettative non sono state coronate, ai piccoli agricoltori non arrivano gli stanziamenti destinati e sono i più controllati con i permessi di deforestazione. Don Dallospedale ha alle spalle una missione lunga oltre trent'anni, trascorsi in vari luoghi e fra rientri nella diocesi di Piacenza-Bobbio, giusto il tempo per non dimenticare la culla della formazione e della vocazione. Il primo impegno di neo sacerdote lo ha visto formatore al seminario di Bedonia, e così è stato all'arrivo in Brasile per costruire il clero locale.
«Il primo sacerdote in Roraima è stato ordinato nel 1998, ora ne abbiamo sette, è una strada lunga, stiamo portando il clero locale ad un minimo di autosufficienza, ma c'è ancora bisogno di noi. Nel fine settimana visito comunità in un territorio di 300-400 chilometri con strade piene di buche». E bisogna fare i conti con la fatica fisica «la stagione delle piogge o del grande caldo, il timore di malattie, è sempre molto diffusa la malaria, l'alimentazione è diversa dalla buona cucina piacentina, ci vuole tanta adattabilità». Non lo dice don Giancarlo, ma si intuisce che alla fine della giornata, dopo i riti vespertini, lo stomaco non sempre è soddisfatto, ma «Il servizio a Dio è un servizio alla vita, noi siamo apostoli di Gesù».
Il premio sarà consegnato domani alle 12 sul sagrato del duomo.

Maria Vittoria Gazzola mariavittoria.gazzola@liberta.it

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