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Lunedì 13 Settembre 2010 - Libertà

L'angelo delle favelas che sorride sempre

L'emozione di don Dallospedale che racconta: «Faccio 500 chilometri per celebrare la messa»

piacenza - "Angil dal Dom" lo è per la sua storia di missionario instancabile, di sacerdote pronto ad abbandonare la sua terra e a trasferirsi lontano, fra le favelas del Brasile, ma sempre con il sorriso sulle labbra. E quel sorriso non è mancato neppure ieri mattina sul volto di don Giancarlo Dallospedale, mentre celebrava la messa del premio "Angil dal Dom" (fortemente voluto dalla parrocchia del Duomo e dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano), che proprio a lui è stato attribuito per "aver tenuto alto il nome della sua terra nel mondo". Ed in effetti don Dallospedale lo ha portato in giro per il mondo il nome di Piacenza, fino ai confini più lontani: a Roraima, la diocesi nel nord del Brasile della quale il monsignore è vicario generale, il missionario piacentino è arrivato proprio per rispondere a quell'sos lanciato dai vescovi italiani impegnati là che chiedevano un aiuto per la formazione e l'evangelizzazione. "Sono stati i vescovi a chiederci di andare in Amazzonia per prendere in mano la formazione" ha commentato don Dallospedale al termine della messa celebrata in cattedrale, "ed è stata una soddisfazione poter portare un po' dell'allegria piacentina in luoghi in cui i problemi certo non mancano". Povertà, criminalità, traffici di droga e prostituzione: è questo il Brasile dell'oggi, quello in cui don Dallospedale e tanti altri si danno da fare per portare l'evangelizzazione. "Nel fine settimana di solito percorro anche 400 o 500 chilometri per celebrare la messa nelle comunità" ha spiegato durante l'omelia, "ma quando rientro a casa sono contento: la festa del banchetto eucaristico che prelude quello celeste è necessaria perché nasce dalla scoperta dell'amore di Gesù".
È sereno questo missionario, partito alla volta dell'America nel 1979: "La missione è stata la cosa più bella che mi sia capitata" ha spiegato con l'Angil dal Dom tra le mani consegnatogli sul sagrato del Duomo dal presidente della Fondazione Giacomo Marazzi, "ricevo con piacere questo riconoscimento non tanto alla mia persona perché non credo di aver più meriti di chiunque altro stia facendo questo servizio al nostro paese; accetto questo riconoscimento alla missione. Se ci sono dei meriti da riconoscere sono quelli nascosti delle persone che stanno dietro a noi; e un grazie va anche alla chiesa di Piacenza per la fiducia che ci ha dato. Penso che questo angelo ricevuto rappresenti un poco quell'angelo che è la chiesa di Piacenza, che mi accompagna nella missione". E proprio alla nostra città va un pensiero di don Dallospedale: "Il legame è sempre molto forte: ci sleghiamo non per dimenticare, ma per vivere l'affetto anche da lontano. Non perdiamo niente, ma guadagniamo: invece di avere un solo legame con un paese, ci sentiamo un po' legati alla mondialità, che diventa la nostra famiglia". Riguardo alla "famiglia" brasiliana invece gli obiettivi e le speranze per il futuro sono chiare: "Daremo continuità al nostro lavoro di avvicinamento alla gente" ha spiegato il sacerdote, "incontrare le persone dove sono è la cosa più urgente che sentiamo. Ci sta a cuore la gioventù del Brasile, che spesso è costretta ad andare nella capitale per pensare al futuro e si perde un poco dentro alla città: noi sogniamo una casa di accoglienza per i nostri giovani".

Betty Paraboschi

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