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Mercoledì 6 Ottobre 2010 - Libertà

Rinaldo Küfferle scrittore Ha visto l'ultimo zar

Due uomini che camminano. Il suono cupo e vuoto dei passi sulla strada pavimentata di legno. Fa molto freddo, passa qualche rara carrozza: a cassetta siedono giganti coperti da un enorme pastrano con tanti grandi colletti, uno sopra l'altro per proteggere dal gelo, dalla pioggia e dalla neve.
I due non parlano. Fa troppo freddo per parlare. A cosa pensano? Dove stanno andando? Non lo so. Mi piacerebbe tanto saperlo, ma lo saprò.
I due sono il mio nonno Pietro Kufferle, e suo fratello (chissà come si chiamava?), e questa scena è inventata. In realtà so solamente che Pietro arrivò in Russia, a San Pietroburgo, forse da Praga, dove aveva esercitato la sua professione di scultore.
Mi piacerebbe che questo arrivo a San Pietroburgo fosse molto drammatico: il cielo cupo, i passi pesanti delle rozze scarpe, due grandi valige; in realtà invece forse Pietro era stato invitato in Russia insieme a suo fratello da qualcuno di importante che aveva sentito parlare di lui a Praga, o l'aveva incontrato. Avevano viaggiato su un comodo treno e ora, in carrozza, stavano raggiungendo l'albergo, o la casa preparata per loro. Non so, tutto è possibile. L'unica cosa certa è la pavimentazione di legno delle strade.
Mio papà Rinaldo, figlio di Pietro, muore nel 1955: io avevo 11 anni. In quegli undici anni da lui, della Russia, ho saputo solo che: le strade erano di legno, che non si usa l'ombrello con la neve, che il caviale si mangia solo col cucchiaio altrimenti non vale la pena. Provo allora a inventare, e so che un giorno seguirò quei due uomini nel loro destino sulla finta carta bianca che appare sullo schermo del mio computer, e che sarà quindi così che finalmente saprò tutto.
Mio papà ha certamente visto lo zar, forse anche Rasputin (mio nonno di sicuro: faceva lo scultore a corte …). Ne avranno parlato in casa, chissà cosa hanno detto quando si è saputo che quel diabolico personaggio era stato ucciso, in quel modo incredibile. Mia nonna Anna avrà pregato Pietro di non parlarne di fronte al giovane Rinaldo, quasi li vedo in salotto, in piedi di fianco al pianoforte. Lo scoprirò.
E poi la Rivoluzione, due anni a San Pietroburgo assistendo a di tutto, sperando, sognando, incapaci di credere che la loro vita di lavoro, di agi, di riconoscimenti, spariva di giorno in giorno, di ora in ora. E infine la fuga, precipitosa, drammatica. Questa è documentata, mio papà l'ha descritta.
La leggo e la riporto freddamente, anche con un po' di cinismo. Non mi impressiona particolarmente: narra di una famiglia ricca, abituata agli agi che viene sradicata con violenza da tutto quello che ha. Ben altre storie popolano il nostro personale archivio degli orrori: vagoni piombati, fosse comuni, uccisioni demenziali.
E' però un pagina di storia: Bergen popolato di profughi, quel passaggio del confine rivoluzionario con le guardie rosse con le virgolette, così le vede mio padre che però non vede ancora e forse non vedrà mai l'immenso quadro storico, la "fortuna" di viverlo in prima persona. L'autocommiserazione cancella tutto.
Il 15 ottobre ci sarà, grazie alla Fondazione della Cassa di Piacenza e Vigevano, un convegno per discutere dell'opera di Rinaldo Kufferle: parteciperanno importanti studiosi slavisti, sarà un avvenimento culturale. Ma, per quelli che come me che di cultura sanno poco, ho pensato di chiedere al Direttore di Libertà di ospitare questo lungo racconto di un ragazzo in fuga dalla guerra insieme ai suoi genitori e così far intravedere l'uomo oltre al letterato. Persone ben più preparate di me ne presenteranno il percorso artistico.

RICCARDO KUFFERLE

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