Lunedì 26 Luglio 2010 - Libertà
Applausi e lungo dibattito per "La bocca del lupo" del regista Pietro Marcello, prima pellicola in cartellone
Bobbio Film Festival
bobbio - E' confortante che alla sera della prima del Bobbio Film Festival, il cortile dei chiostri dell'abbazia di San Colmbano sia gremito. Il film è di nicchia ma la forza di questa manifestazione nasce dal fatto che si respira aria di cinema. E allora il dibattito prosegue fino a tarda ora, la gente applaude Pietro Marcello che con La bocca del lupo ha costruito un piccolo capolavoro e non è un caso che abbia fatto incetta di premi a Torino, Berlino, Parigi e Buenos Aires.
Ma la sera della prima è anche rappresentata dalle parole che l'assessore alla cultura Roberto Pasquali e il sindaco di Bobbio Marco Rossi rivolgono a quanti hanno contribuito a far sì che questa manifestazione sia un evento dai contorni nazionali: un nome su tutti Marco Bellocchio, che a sua volta ringrazia con il cuore tutti i presenti e ha parole di sincera gratitudine verso Paola Pedrazzini che insieme al figlio Pier Giorgio Bellocchio ha il compito di guidare la nave del festival anche in questa edizione nella quale il maestro è impegnato su più fronti: il Rigoletto a Mantova e la presentazione di Sorelle mai alla Mostra del cinema di Venezia il 10 settembre.
Tornando alla serata occorre sottolineare che gli spettatori presenti sono stati testimoni privilegiati di un cinema che cerca nuove strade espressive. Non succede spesso. A Bobbio è accaduto al primo giorno di programmazione e l'auspicio non può che essere incoraggiante. La bocca del lupo è infatti un film che sfugge alle facili definizioni (un documentario ma anche un melodramma, un film su commissione ma anche d'autore), capace però di conquistare il pubblico con la forza dello stile e delle idee e in grado di condensare in settanta minuti una storia d'amore diversa e il ritratto di una condizione sociale, la metamorfosi di una città e il susseguirsi del tempo. Il montaggio è di Sara Fgaier che due anni fa ha frequentato il corso di Farecinema a Bobbio.
Pietro Marcello spiega come è nato questo film: «Grazie alla Fondazione San Marcellino di Genova - commenta - sono stato invitato a raccontare non il lavoro che questa compagnia di gesuiti svolge dal 1945 nel sociale, ma il mondo di emarginati a cui rivolge le proprie cure. E dopo aver condiviso a lungo la vita delle zone più misere della città, dopo un lungo lavoro di osservazione durato diversi mesi ho scelto di raccontare la storia d'amore tra Enzo e Mary, un ex carcerato e il transessuale che l'ha aspettato per quasi vent'anni, mentre lui scontava le pene per le quali era stato condannato». Aggiunge: «Ho utilizzato lo stile secco del documentario, usando come traccia le cassette registrate che i due si scambiavano invece delle lettere e ho mostrato i cambiamenti che hanno trasformato il volto di Genova: non più il mondo poetico dei carrugi cantati da De André ma nemmeno quello industriale e produttivo che costruiva giganteschi transatlantici». Spiega: «Mi ha affascinato la faccia di Enzo, una faccia da cinema, gli ho chiesto di recitare in alcune piccole scene, anche se il film vuole seguire anche altre storie».
Ma tutto torna, il cerchio si chiude in un flusso di immagini e di emozioni che vanno dritte al cuore. E quando nell'ultima parte i due protagonisti si offrono all'obiettivo della cinepresa e raccontano in prima persona la loro storia, il documentario lascia il posto all'emozione delle parole e la confessione di questo amore diverso ma travolgente si fa melodramma.
Inutile sottolineare che il film sarebbe piaciuto a Pasolini perché Pietro Marcello a soli 34 anni ha costruito un bellissimo film in cui la realtà e le sue miserie vengono riscattate dalla passione dei sentimenti.
Mauro Molinaroli