Fondazione di Piacenza e Vigevano Stampa
  Rassegna Stampa
spazio
  Comunicati Stampa
spazio
  Eventi Auditorium Piacenza
spazio
  Eventi Auditorium Vigevano
spazio
  Comunicazione
spazio

 
Home Page     Rassegna Stampa   


Sabato 12 Giugno 2010 - Libertà

Loi, una "penna" vicino a Piacenza

Il poeta in Fondazione: «I miei scritti per i Quaderni Piacentini». Tanti ricordi sgorgati durante l'incontro coordinato da Pareti a fianco dello scrittore Meschia

piacenza - Che bel personaggio Franco Loi, come dice Stefano Pareti che lo introduce, le sue parole sono "cattedrali di luce nel cuore" e quando il poeta milanese parla di sé e del suo itinerario poetico, la platea dell'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano ascolta senza fiatare, senza distrarsi. Perché la consapevolezza di essere di fronte a uno dei più grandi poeti italiani e a un grande uomo è palpabile. E allora l'emozione sale, raggiunge vette elevate perché il viaggio di Loi nell'universo delle parole e di un mondo è profondo e straordinario.
Suggestivo pure il richiamo alle assonanze con Piacenza, all'amicizia con Piergiorgio Bellocchio, Ferdinando Cogni, Bruno Cassinari e Lodovico Mosconi, pietre miliari di un discorso che vorremmo non avesse fine. «Ricordo quando venni a Piacenza per la prima volta - spiega - ero un addetto al marketing della Rinascente, il mio autista si chiamava Gruppi, voleva che prendessi in sposa una giovane che abitava in una cascina appena fuori città. Si lavorava al mattino e poi in trattoria, a gustare le prelibatezze del luogo. Mia madre era di Colorno e quel dialetto m'incuriosiva, ma al tempo stesso m'ingabbiava a differenza del dialetto milanese che mi permetteva di volare con le parole. C'era addirittura, in quegli anni lontani, la voglia di realizzare un giornale della Padania al quale avrebbero dovuto prendere parte Piergiorgio Bellocchio, Franco Fortini e Roberto Lejdi. Non se ne fece nulla ma quegli incontri furono propedeutici ai "Quaderni Piacentini", rivista di riferimento dove pubblicai alcuni articoli nei primi numeri».
Il discorso vira, va oltre questi luoghi e Loi parla degli studi di filosofia, la scienza e quando nel 1965, all'età di 35 anni gli capitò tra le mani un volume del Belli che lo colpì. «Pensai che era straordinario - spiega - che il poeta milanese potesse dire tante cose con pochi versi e in poche parole». In quei tempi Loi stava scrivendo un romanzo e si accorse che attraverso la poesia con poche frasi era possibile narrare molte cose: «Prima del 1965 scrivevo in italiano perché pensavo che fosse la mia lingua e invece - commenta - nel mio romanzo c'era un impiccato. Dissi a me stesso che questo personaggio era un popolano giovane, non poteva parlare in italiano e così mi misi a scrivere in milanese». Scrivendo in milanese Loi capì che quella lingua l'aveva nell'anima: «Ho scoperto la poesia perché quando scrivevo non seguivo più la testa ma mi lasciavo andare come fa Dante quando scrive "I'mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando". Allo stesso modo io andavo riempiendo di significati le parole. Significati di cultura e di lingua, anzi dirò di più, la poesia è stata per me una sequenza di suoni e di ritmi che mi davano significati».
Un lungo racconto intervallato dalle domande di Maurizio Meschia, poeta e scrittore, dalle letture di alcuni brani, dalla voce intensa e seducente di Loi, che si lascia andare in un viaggio a ritroso che lo riporta al grande Vittorio Sereni che si commosse quando ebbe modo di leggere, dopo anni passati braccio a braccio in Mondadori, le frasi e le righe di storie narrate in un raggio di sole. Parte un applauso, seppure in ritardo. Con Loi la poesia è ciò che ha scritto Erri De Luca: "Non è un'arte di arrangiare fiori, ma urgenza di afferrarsi a un bordo nella tempesta. [...] E' pronto soccorso, la poesia, non una sviolinata al chiaro di luna. È botta di salvezza". Bella serata, davvero.

Mauro Molinaroli

Torna all'elenco | Versione stampabile

spazio
spazio spazio spazio
spazio spazio spazio