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Venerdì 2 Aprile 2010 - Libertà

«E' stato un Jazz Fest di qualità ma sogno Rollins e Hencock»

Per Azzali bilancio positivo della manifestazione tra big internazionali
seminari e nuovi talenti. «Adesso un libro sul fenomeno a Piacenza»

PIACENZA - Archiviati 15 concerti internazionali e 5 cinque appuntamenti tra workshop, presentazioni musical-letterarie e approfondimenti, dopo aver "invaso" spazio Le Rotative, Teatro President, Sala dei Teatini, Conservatorio Nicolini, Milestone, Teatro Verdi di Fiorenzuola, Biblioteca Passerini Landi, galleria del Centro Commerciale Gotico e Carcere delle Novate, è tempo di bilanci per la settima edizione del Piacenza Jazz Fest, ideato e organizzato dal Piacenza Jazz Club in collaborazione con la Fondazione di Piacenza e Vigevano. «Un'edizione molto bella - commenta il presidente, Gianni Azzali - cui ha contribuito la coincidenza di un bel clima umano, animato da un ritrovato slancio di tutto il numeroso staff e di un programma valido e incalzante che non ha permesso di dare nulla per scontato. Un buon lavoro di tutta la direzione artistica: al mio fianco si sono mossi Giuseppe Jody Borea, Artemio Cavagna, Michele Mazzoni e il vicepresidente del Club Angelo Bardini, e siamo stati fortunati nel combinare la scelta degli artisti con le disponibilità di calendario. Efficaci anche le campagne comunicativa e promozionale curate da Simona Cerri e Fausto Mazza, ideatore di quei cerchi concentrici azzurri che mi piacerebbe diventassero il segno distintivo della manifestazione. Nota dolorosa, la scomparsa del maestro Dino D'Angelantonio, le cui mani suonanti avevamo scelto per i manifesti, sui quali hanno campeggiato in tutta la città».
Coltrane, Mehldau e Rava, per citare solo i nomi più grandi di un cartellone di ampio respiro: quali i suoi punti di forza e quale il suo concerto preferito?
«Quest'anno non c'è stato, grazie alla vincente omogeneità del cartellone. Da sassofonista, l'inaspettato concerto in trio di Ravi Coltrane mi ha molto intrigato, ma li ho goduti tutti. Ribadisco l'importanza degli eventi collaterali, che fanno la differenza: possono sembrare piccole cose, ma appartengono alla nostra "mission". Fare cultura non significa pretendere un teatro stipato, ma riuscire a lasciare un "semino". Da ricordare anche il concerto degli Sugar Pie per i detenuti delle Novate - evento nient'affatto scontato che il prossimo anno potremmo portare magari in un ospizio o tra bimbi in difficoltà - e le giornate campali con tre attività contemporanee o decine di artisti, come il Galà finale».
Appunto: i concorsi nazionali "Bettinardi", "Note di donna" e "Strisce di jazz" abbinati al festival sono tra i vostri motivi d'orgoglio.
«Hanno permesso al pubblico di conoscere e apprezzare tanti nuovi giovani talenti, ragazzi pieni di entusiasmo e passione che si divertono, ci sperano e sognano. I primi premi di questi anni, specie della sezione solisti del "Bettinardi", meriterebbero di essere riascoltati con calma, a cominciare da Enrico Zanisi, ingaggiato quest'anno al President. Ecco un rimpianto: non essere ancora riusciti a realizzare un cd del "Bettinardi" per fissare la zampata di questi giovani leoni, ma ce la faremo».
Altri sogni o progetti nel cassetto?
«Recuperare la trattativa andata a monte qualche anno fa con Sonny Rollins e portare a Piacenza Herbie Hancock. Ma spero soprattutto, così com'è accaduto sin qui, che il festival continui ad affinarsi e a mantenere la fiducia del suo pubblico, sempre più consapevole, competente e anche extra-provinciale. Poi stiamo lavorando ad un libro sul jazz a Piacenza insieme a Stefano Pareti, che ha raccolto tantissimo materiale dal ‘45 al 2000. Si sono aperti scenari impensati, da un Jazz Club formatosi nel 1956 con Cavagna e Massimo Ferranti allo sciopero degli allievi del Nicolini nel ‘57 causato da un concerto jazz in Conservatorio. Da due anni, col musicologo e cinefilo Stefano Zenni di "Sidma", abbiamo anche in cantiere un progetto jazz live sui film di Kubrick: è in stand-by, perché la crisi limita soprattutto la possibilità di espandere attività collaterali e contaminazioni con le altre arti».
Ecco: economicamente, com'è andata?
«Il periodo è difficile e la cultura è sempre più messa da parte. Riusciamo però a non proporre solo cose "piacione", dando un colpo al cerchio e uno alla botte senza perdere qualità. Godiamo del sostegno di una città sensibile, così il cartellone non ha risentito della crisi: senza la Fondazione non esisterebbe il festival, il Comune ci sostiene al massimo in relazione alle sue possibilità e la Regione ha raddoppiato i contributi, mentre l'emorragia di sponsor privati è stata tamponata dall'ingresso del Gotico, che ha ospitato pure il mini-festival collaterale. Ci sono meno soldi, ma forse questo rende l'evento meno routinario e accresce la passione».

Pietro Corvi

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