Lunedì 11 Ottobre 2004 - Libertà
Violoncello e piano da brividi
Valtidone festival - Emozionante prova a Sarmato tra Brahms, Schumann e Beethoven. Flaksman e Levi Minzi: le corde profonde dell'anima
L'edizione 2005 del Valtidone Festival (la notevolissima rassegna di concerti "collaterale" ai Concorsi internazionali di musica della Valtidone e, come quelli, promossa sotto la direzione artistica di Livio Bollani da Regione, Provincia, Comunità Montana Valtidone e dai Comuni del comprensorio, con l'organizzazione affidata a Tetracordo e con la collaborazione di Fondazione di Piacenza e Vigevano, Piacenza Turismi, Editoriale Libertà e numerosi sponsor privati) ha potuto contare, l'altra sera, su un epilogo di particolare bellezza, gisutamente presentato dal direttore artistico Livio Bollani come "il momento più alto del cartellone Valtidone Classica".
Si è trattato dell'esibizione del grande violoncellista statunitense Michael Flaksman e del pianista italiano Carlo Levi Minzi, beniamino di lunga data del pubblico del Valtidone Festival (lo stesso duo, alle prese con un programma di concerto in parte diverso, ha suonato ieri sera all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano) che hanno chiuso in bellezza la rassegna dove è cominciata, nella bellissima Rocchetta del Castello di Sarmato messo cortesemente a disposizione dalla contessa Maria Luisa Zanardi Landi, che per questo è stata ringraziata, insieme con Bollani, dal sindaco Sabrina Gallinari.
E' stata un'esibizione altamente emozionante all'insegna di un programma "massimalista", in cui l'alto e rapinoso eloquio strumentale di Flaksman (uno di quei solisti che sanno far "parlare" il proprio strumento - in questo caso un meraviglioso violoncello costruito da Giovanni Battista Grancino nel 1694 - con l'espressività di un grande attore) e l'aristocratico pianismo di Levi Minzi hanno rifiutato qualsiasi divagazione in repertori "minori" quanto interessanti per misurarsi direttamente coi capisaldi della musica scritta per i loro due strumenti.
La prima parte del concerto è interamente occupata dalla Sonata in Mi minore op. 38 n. 1 di Brahms, che fin dallo sviluppo dell'iniziale Allegro non troppo attinge vertici di folgorante poesia. La seconda parte è inaugurata da una versione intensa fin quasi al pianto dei tre Fantasiestücke di Schumann. Finale con qualcosa di molto più che una pietra miliare: la Sonata in Sol minore di Beethoven, secondo numero di quell'Opus 5 "dove semplicemente si fonda l'intera letteratura per pianoforte e violoncello" della storia della musica a venire (Piero Buscaroli).
Composte nel 1796 da un Beethoven non ancora ventiseienne per il famoso violoncellista Jean-Pierre Duport (e, ancor più, per il re di Prussia Federico Guglielmo II, discreto dilettante di violoncello e dedicatario della partitura), le due Sonate per violoncello e pianoforte dell'Opus 5 costituiscono (insieme con la Sonata per pianoforte dell'Opus 7, scritta l'anno dopo per la contessa Babette de Keglevics) il primo autentico capolavoro del Gigante di Bonn.
Musica già perfetta, che la coppia Flaksman-Levi Minzi esalta con una lettura travolgente per grazia e passione: l'Adagio sostenuto ed espressivo delizia e rapisce, la grande melodia dell'Allegro molto più tosto presto travolge con l'ubriacante bellezza della cavata e della "vocalità" del violoncello, il rondò finale regala elettrizzanti scintille tra metalli nobili.
I due bis sono bis nel senso antico del termine: brani già eseguiti che vengono ripetuti per la gioia di spettatori che possono così rivivere e moltiplicare il piacere dell'ascolto come premendo un'immaginaria coppia di tasti rewind-play. Per primo viene l'Allegretto quasi Menuetto della Sonata n. 1 op. 38 di Brahms in un'esecuzione perfino più seduttiva della prima, in cui si danno la mano con prodigioso equilibrio la grazia ricercata della musica da camera più elitaria dell'Ottocento e una spiccata, quasi popolareggiante, vena di cordialità "tedesca", l'austera resa di una scrittura ad alto coefficiente di difficoltà e un fascino melodico "d'impatto" da grande sala da concerto.
La gente applaude a tempesta, ci vuole un secondo bis; Flaksman ammicca al pubblico e scherza nel suo ottimo italiano: "Chi deve prendere l'autobus vada pure: tanto è tutta roba che avete già sentito" sorride, prima di tuffarsi nella bollente lava romantica del terzo numero dei Fantasiestücke, in cui il vocione del "Grancino 1694" (cui l'apollineo pianoforte di Levi Minzi fa da perfetto pendant "per contrasto") canta con un'intensità che tocca le corde più profonde dell'anima dell'ascoltatore, ricordandogli le parole visionarie con cui un intellettuale sensitivo come Roland Barthes parlava (a proposito della "Kreisleriana") del "corpo che batte e che bussa" nascosto nella musica di Schumann. Una degna conclusione per un concerto che ha sommerso i presenti con un'ondata di bellezza e di entusiasmo: quest'ultimo sostantivo, vale la pena ricordarlo, deriva da una parola del greco antico che indicava lo stato di chi "ha gli dèi dentro".
Alfredo Tenni