Mercoledì 31 Marzo 2010 - Libertà
Scurati: «L'egemonia della cultura visuale»
Domani in Fondazione incontro con lo scrittore
Siamo nel giugno del 2001. Andrea Marescalchi, il protagonista del romanzo, è un professore di storia e filosofia in un liceo scientifico, si prepara per "un'altra giornata di passione". Dovrà interrogare, insieme ai suoi colleghi, un gruppo di candidati all'esame di maturità; "ha qualche funesto presagio", mentre si avvia alla scuola nel paesone lombardo (magari leghista) in cui vive e che raccoglie in sè tutti i segni della decadenza del nostro tempo.
E' questo l'incipit della storia de Il sopravvissuto (Bompiani), un libro che ha fruttato ad Antonio Scurati - che sarà ospite domani sera alle 21 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano e parlerà di "Chi scrive e chi legge" - il premio Campiello nel 2005. Si avvertono nel libro i colori foschi e cupi che preludono all'esplosione di una tragedia: quella di un alunno che sterminerà la commissione intera che già lo ha condannato alla bocciatura, lasciando in vita solo il proprio professore, il quale diventerà appunto "il sopravvissuto".
Questo libro ha aperto la strada del successo allo scrittore che insegna all'Università di Bergamo Teorie e tecniche del linguaggio televisivo e che ha pubblicato altri romanzi, quali Una storia romantica (Bompiani) nel 2007 e Il bambino che sognava la fine del mondo (Bompiani) lo scorso anno. Ha anche realizzato un documentario (La stagione dell'amore), un tema che indaga sulla passione dell'amore in Italia riprendendo "Comizi d'amore", un'inchiesta del 1965 di Pier Paolo Pasolini.
Nel 2006 lei ha pubblicato il saggio "La letteratura dell'inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione". Quasi a dire che è in corso un cambiamento di sensibilità di chi scrive romanzi all'epoca della tivù. E' davvero tanto diverso il ruolo dello scrittore di oggi rispetto al passato?
«Siamo di fronte dell'egemonia della cultura visuale. La realtà di oggi, che a tratti assomiglia a una fiction, è molto diversa dalle rappresentazioni prodotte dai linguaggi e dai media tradizionali, come i romanzi e in più generale i libri. L'occhio prevale sull'immaginazione mentale. Questo accade per la presenza di tecnologie che consentono alla televisione di entrare direttamente nelle nostre case. In questo modo l'immagine della morte e della devastazione prodotta dalla guerra si trasforma in spettacolo. E' così che l'immaginario finisce per appropriarsi della vita che si fa finzione. Cosa, quest'ultima, ben diversa dall'immaginario. Un libro ti parla del mondo, ma non pretende di essere esso stesso il mondo. Una cronaca in diretta di un bombardamento, invece, dà a chi la vede l'illusione della realtà. In qualche modo, è come se la cronaca televisiva fosse essa stessa la realtà stessa. Tutto ciò ha cambiato il modo di fare letteratura. Non è più pensabile accedere a nuovi linguaggi senza fare riferimento ai media. Per cui c'è una generazione di scrittori che è nata intorno agli anni Sessanta e Settanta che ha ribaltato i codici linguistici».
Qual è la frontiera della letteratura?
«E' bene pensare che oggi la frontiera della letteratura passa anche attraverso la ripresa dell'intreccio come risorsa di una strategia: ma non deve far venir meno altre dimensioni della forma romanzo. Ho detto in più circostanze che il romanzo deve "invaginare" ogni altra forma del sapere ed è stato un putiferio. Intendevo sottolineare la pluralità dei linguaggi che stanno attorno al libro e alla letteratura in particolare. Se non avviene questa "inseminazione" il romanzo di questi anni Duemila è povero».
Esempi di intreccio ben riusciti?
«Penso a Bret Easton Ellis, in American Psycho e Lunar Park. A James Ellroy, in Jungletown Jihad. Un uso felice dell'intreccio, fra gli italiani, è in Q degli attuali Wu Ming».
Nel suo ultimo romanzo, Il bambino che sognava la fine del mondo lei sceglie come io narrante un bambino, non un adulto, perché?
«Nel libro ho cercato di sondare i caratteri del terrore, del male inteso come entità distinta dai fatti, una sorta di studio della parte oscura del bene. In questo i terrori dell'infanzia sono molto più spaventosi rispetto a quelli dell'età adulta; oggi le nostre paure sono quelle di conservazione personale e del nostro benessere, insomma qualcosa di fisico e presente, mentre il timore dei bambini è qualcosa di metafisico, come la paura del buio. La parte del romanzo che riguarda il bambino è autobiografica. Sono io che mi descrivo negli anni di un'infanzia lontana».
Altro tratto del libro è questo riportare a galla la figura di un narratore, una voce chiara ed esplicita.
«Il narratore del mio libro invita a riflettere prendendo il proprio spazio nell'opera, una figura tipica, questa, dell'espressione letteraria ottocentesca, nella quale non ha una funzione secondaria, anzi... ».
Concludendo, un libro che consiglierebbe ai lettori.
«Un romanzo di Giuseppe Genna, un caro amico e compagno di studi, Assalto a un tempo devastato e vile, nell'edizione rivista, ampliata e arricchita di 150 nuove pagine per ancorarla alla realtà di oggi. L'opera è edita da Minimum fax».
Mauro Molinaroli