Sabato 3 Aprile 2010 - Libertà
«Il presentismo, nemico dei bei libri»
Lo scrittore Scurati nell'interessante incontro in Fondazione
Non guarda più al "sol dell'avvenire" lo scrittore Antonio Scurati. Lui come tanti altri, quelli di una generazione «che sta genuflessa davanti al presente, imprigionata in un'ottica miope che ci fa acconsentire alle cose, privi di slancio utopico, costretti in una sorta di cattività».
Signore e signori, questo è il presentismo: o meglio, questo è uno degli effetti di quell'orientamento che ha dimenticato le tre grandi "estasi temporali", lasciando all'orizzonte solo il presente.
«Già dalla rivoluzione francese i padri speravano che la vita dei figli fosse migliore della propria» ha spiegato Scurati durante l'incontro, presentato da Eugenio Gazzola e intitolato Chi scrive e chi legge, che si è svolto nell'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, «le cose sono mutate: la cessazione di un'aspettativa riguardo all'avvenire è un dato di questa generazione e il segno del dominio assoluto del presente». Lui lo chiama presentismo: «oggi il presente è per noi quasi un obbligo e addirittura, per me, una condanna» dice.
«Se non vuoi cambiare la realtà, cambiamo discorso» sosteneva Borges, «oggi però prevale uno sventagliato ritorno alla realtà: sembra che la narrativa italiana, dopo essersi occupata d'altro, stia di nuovo mordendo il presente». E apparentemente anche i libri di Scurati non fanno eccezione: un'alternanza perfetta di romanzi storici e attuali gli ha valso successi e persino il premio Campiello 2005 per Il sopravvissuto (ma la «sarabanda di premi letterari» è poi definita da lui stesso «una forma di visibilità e splendore che onora e disonora»).
Ma in realtà di presentismo, in Scurati e nei suoi libri, non se ne avverte neppure un'ombra: «Non possiamo ignorare il presentismo, ma dobbiamo ingaggiare un corpo a corpo» spiega lo scrittore, «non con il presente o la realtà, ma con questa ideologia in cui siamo immersi in modo così totale da non rendercene più conto».
"Come si sfida allora il presentismo? " è la domanda retorica che il pubblico e anche lo stesso Scurati si sono fatti l'altra sera. L'autore de Il bambino che sognava la fine del mondo ha una risposta chiara: «Il presentismo è un avversario che ti costringe ad accorciare le distanze, ad entrare in una sorta di "bagarre", se vogliamo utilizzare un termine tratto dal mondo del pugilato: la "bagarre" è quando ci si avvicina molto all'avversario per sferrare i propri colpi. Molta della migliore letteratura italiana nasce da un confronto con la cronaca, che è uno strumento del presentismo: riesce ad andargli sufficientemente sotto e a sferrare il suo colpo. Gomorra di Saviano è un libro costruito con un taglio e uno stile tratti dal giornalismo di cronaca ed è uno dei più potenti prodotti della narrativa italiana. Ma ci sono anche i romanzi scritti dai "cattivi giornalisti" e rappresentano uno dei tanti modi di essere risucchiati dal presentismo e dal cronachismo: ad esempio, non puoi fare libri sull'adolescenza, scrivendoli da adolescente analfabeta senza nessun diaframma».
Scurati se ne tiene ben lontano: «Nel mio ultimo romanzo ho costruito il corpo a corpo con il presentismo nel confronto con la cronaca nera» spiega, «nella parte contemporanea ho impastato molti accadimenti della cronaca per costruire una vicenda di invenzione. Ma ci sono alcune forme precluse dal cronachismo, come l'epica: per questo alterno romanzi che cercano il corpo a corpo col presentismo ad altri che raccontano ciò che non c'è, la forma epica».
La sua penna ma anche il suo spirito sono pacati ma martellanti: contro le «potenti centrali della diseducazione», il «culto idolatrico della giovinezza», gli esordi che non si negano a nessuno. «Io sarei di sinistra, se ancora ci fosse una sinistra» ribadisce Scurati, per dieci anni «uomo del sottosuolo». Dopo è uscito. Ma a conformarsi non ci pensa proprio.
Betty Paraboschi