Domenica 7 Marzo 2010 - Libertà
Cogni: dolce, irascibile architetto della poesia
Non smette di stupire Ferdinando Cogni. La sua poesia è come i sogni secondo Freud: s'interpreta. E la conferma si è avuta anche ieri pomeriggio all'Auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano durante l'iniziativa a ricordo del poeta piacentino a tre anni dalla scomparsa: Ricognizioni in terra poetica cui hanno preso parte Aldo Acerbi, Gianfranco Asveri, Piergiorgio Bellocchio, Gianfranco Negri, Pier Luigi Peccorini Maggi e Claudio Vela con la "regia" di Stefano Pareti e con le letture dei versi tratti da I noss cavaj da parte di Mario Peretti.
Per interpretare le tante cose belle che Cogni ha scritto è sufficiente aprire un suo libro, Poesia, edito da Vanni Scheiwiller, quasi 500 pagine dalle quali trasudano versi ricchi di grande intimità con la propria terra d'origine e di forte tensione poetica sia che li si leggano in dialetto che in italiano.
La pagina è però immobile, muta, mentre i ricordi sono vivi, autentici, in particolare quelli di Gianfranco Asveri. Come pochi l'artista piacentino sa cogliere il vero Cogni, nei dettagli di una vita vissuta in disparte e negli aspetti più personali: «Diceva che la poesia va ad abitare dove vuole e il poeta non sa a memoria quello che scrive - ha commentato - Vive di poesia e per la poesia». Questo era Cogni secondo Asveri: «Ferdinando l'ho conosciuto molto bene, ci siamo frequentati per anni, gli telefonavo tutte le sere e a volte capitava che mi fermassi a pranzo da lui. Nel suo ordine povero, la tavola preparata, capitava che spesso si alzasse e andasse a scrivere, d'istinto, quasi fosse un bisogno fisico, primario. Eravamo amici, ma bastava un nonnulla per litigare con Ferdinando. Tanto era sensibile quanto viveva ogni cosa in agitazione permanente. Per certi aspetti ricordava Sandro Penna, pensava agli altri, ai deboli, ma spesso era tagliente. Una sera, in auto, passammo davanti a una discoteca, il "Mea culpa". Qui vanno i giovani a ballare, gli dissi. Rispose che bene avrebbe figurato un ballabile a lato, riservato ai genitori di quei ragazzi. Il nome del locale? "Mea culpa, mea maxima culpa"».
La poesia di Cogni è precisa, nuda e sottile come una modella da calendario, svelta come un bimbo che corre. Sottile come una lama e travolgente come un amore. Abbaglia nella sua sintesi d'epigramma. «Le poesie di Cogni sono colte - ha aggiunto Pier Luigi Peccorini Maggi - perché una cosa è scrivere poesie dialettali altra cosa è fare poesia in dialetto». Anche Peccorini Maggi ha sottolineato alcuni aspetti del carattere di Cogni: «Era un esteta, mai banale, è vero, ma sapeva essere vendicativo se riteneva di avere subìto un torto, Cogni si vendicava scrivendo cose molto dure a chi riteneva l'avesse offeso». Ha poi aggiunto che fu tra i fondatori del Partito Liberale a Piacenza. E Claudio Vela, il critico letterario che ha scoperto la grande attualità del poeta piacentino su scala nazionale, ha - forse per primo - e su sollecitazione di Stefano Pareti, riannodato i fili della memoria sul rapporto tra Cogni e i due grandi poeti dialettali del secolo scorso, Valente Faustini ed Egidio Carella: «Li amava entrambi - ha spiegato Vela - ma a Faustini rimproverava la ripetitività del ritmo». Vela ha poi aggiunto che forse sarebbe il caso di recuperare e valorizzare la prosa del poeta piacentino.
Piergiorgio Bellocchio ha confermato che il primo a riconoscerne il valore fu Giulio Cattivelli, il quale capì che le sue parole erano filtrate da una forte mediazione letteraria, dove ogni singola frase è la chiave di volta in un'architettura segreta: «Cogni e Cattivelli - ha detto - appartengono alla razza di chi ha stabilito una fortissima intimità con la propria terra da cui non hanno mai potuto e voluto staccarsi».
E poi Acerbi e Negri, i quali, in forme diverse hanno aggiunto come le parole in Cogni si fanno tessere di un mosaico, e spostarne una è impossibile. Cogni in controluce, dunque, nel bel ricordo di ieri pomeriggio: uomo d'altri tempi, che adorava Catullo (di cui ha riscritto i versi in piacentino) ma che per un nonnulla s'infuriava. Al di là del fatto poetico che per altro è emerso ieri con rigore e scientificità.
MAURO MOLINAROLI