Domenica 28 Febbraio 2010 - Libertà
In palcoscenico la buona cucina della Bassa Padana
piacenza - Reazionario nella vita e tale anche dietro ai fornelli. Per Giovannino Guareschi la cucina era fatta di buoni e tradizionali ingredienti: come il culatello, così profumato da far passare persino un improvviso attacco di cuore di Don Camillo e scelto con cura amorevole da Ermes Frazzi; gli anolini fatti bene con un brodo saporito e come poche volte si gusta; un cappello del prete, anzi meglio un prete, come si dice a Parma per distinguerlo dall'omonimo pezzo di manzo, accompagnato da salse gustose; e un'ampia gamma di vini del territorio, un florilegio di bianchi e rossi da assaggiare per esaltare la bontà dei piatti. Basta infine aggiungere una dimostrazione della preparazione della "pistà ad grass" da parte di Luigi Davino, una torta sbrisolona, un palcoscenico che ha ancora ospitato, al posto degli attori, parecchie tavole imbandite a regola d'arte, e l'ispirazione creativa di Giancarlo Spezia della Cattolica di Piacenza e di Diego Maj di Teatro Gioco Vita: il risultato è la seconda serata della rassegna "A teatro con gusto", organizzata nel Teatro dei Filodrammatici dal Comune di Piacenza da Teatro Gioco Vita, dal Municipale e dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano in collaborazione con l'istituto "Raineri-Marcora".
L'evento, dedicato stavolta a "sua maestà il maiale", ha ancora una volta registrato il tutto esaurito: anche questa serata, svoltasi intorno al tema "Il maiale e la cucina della Bassa: Peppone e don Camillo a tavola", ha saputo sapientemente unire cultura e cucina, letteratura e gastronomia.
Giovannino Guareschi è stato anche ristoratore: per tutti quelli che hanno letto le vicende tormentate e sorridenti di Don Camillo e Peppone, Guareschi resta il sapiente narratore della Bassa, ossia di quella "piatta striscia di terra grassa, tra Piacenza e Guastalla"; eppure lo spirito di quel "Mondo Piccolo", quella convivialità "alla buona" delle sue storie, è stato anche il "marchio di fabbrica" del ristorante aperto da Guareschi per il figlio.
«Quel luogo, chiuso ormai da anni, è diventato un punto di riferimento per la nuova ristorazione italiana perché ha fornito l'esempio di una trattoria diventata ristorante, pur mantenendo i piatti da trattoria» ha spiegato Andrea Grignaffini che insieme al fratello Giorgio ed a Enrico Sisti sul ristorante dello scrittore hanno scritto un libro, Nella dispensa di Don Camillo. L'oste Giovannino Guareschi e la cucina della Bassa (Guido Tommasi Editore), presentato proprio l'altra sera al "Filo".
Quel ristorante è poi diventato Casa Guareschi, una realtà a metà strada fra una dimora privata e una trattoria di qualità da aprire per non più di una decina di persone; da lì ci si è avviati alla chiusura, all'inizio degli anni Novanta.
«Era un ristorante in cui le regole della vita esterna sembravano non valere più» ha spiegato Giorgio Grignaffini, «nelle sue opere Guareschi ha raccontato di un mondo dove le ostilità si sospendevano in nome della solidarietà; nel suo ristorante accadeva la stessa cosa, le inimicizie si ricomponevano a tavola». «E il vino veniva imbottigliato dallo stesso scrittore» gli ha fatto eco Sisti, «persino le etichette venivano disegnate da Guareschi: e i soggetti erano quelli soliti dello scrittore, a tema politico o riguardanti la ristorazione».
Parte di quella convivialità ormai spenta, di quell'armonia che fa ricomporre i conflitti a tavola, si è ricreata grazie ad una rassegna che, si spera, possa fare anche il bis.
Betty Paraboschi