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Martedì 23 Febbraio 2010 - Libertà

Domani la presentazione del libro alla Fondazione di Piacenza e Vigevano con Vittorio Anelli e Alain Tallon, professore di storia alla Sorbona

Una storia della diocesi che è anche storia della città e del suo territorio, che è storia della Chiesa, ma anche del rapporto tra Chiesa e società. Una storia locale che si rapporta di continuo con la storia generale, perché i due ambiti non possono mai essere disgiunti. Questo le linee fondamentali che hanno guidato la stesura del terzo volume della Storia della diocesi di Piacenza, dedicato a "L'età moderna. Il rinnovamento cattolico (1508 - 1783) ", edito da Morcelliana e curato da Paola Vismara, docente ordinario di storia della Chiesa all'università di Milano, coordinatrice del dottorato "Società europea e vita internazionale nell'età moderna e contemporanea", nonché prima e finora unica donna, dal 1387, membro del consiglio della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano. Vismara interverrà alla presentazione del libro, domani alle ore 17 e 30 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in via Sant'Eufemia, 12, insieme a Vittorio Anelli, coordinatore editoriale dell'opera interamente sostenuta dalla Fondazione, e ad Alain Tallon, professore di storia moderna alla Sorbona di Parigi. «Il volume - precisa la curatrice - è organizzato secondo un impianto che prevede tre saggi generali su ciascuno dei secoli della storia moderna, analizzati rispettivamente da padre Luigi Mezzadri (il Cinquecento), Danilo Zardin (il Seicento) e Annibale Zambarbieri (il Settecento), più una serie di contributi specifici su argomenti significativi, rispecchiando le competenze migliori. Ciascuno potrà dunque trovare la propria strada di lettura».
Professoressa Vismara, perché la scelta del 1508 e del 1783 come estremi cronologici?
«Si tratta di date relative più alla storia locale che alla storia generale, in quanto coincidono con l'inizio e la fine di due episcopati, però mantengono comunque un significato storico preciso. Il 1508 segna infatti anche l'avvio, pur con difficoltà, di una fase di rinnovamento che si esplicherà meglio nei decenni seguenti. Nel 1783 viene eletto vescovo Gregorio Cerati, il cui episcopato sarà molto lungo, coprendo la fine dell'antico regime e l'inizio della restaurazione. Non aveva senso spezzarlo in due volumi. L'arco di tempo considerato va dunque dall'inizio dell'età moderna ai momenti forti in cui si avverte che un'epoca sta per finire. In passato si pensava alla storia locale come una storia minuziosa che rispecchiasse il campanilismo di una società. Oggi si è capito che la storia di un luogo acquista tutto il suo significato solo se viene inserita nel contesto di ciò che accade altrove. Questo la rende una storia viva e le peculiarità locali risaltano in modo più efficace».
Un avvenimento epocale del periodo fu sicuramente il concilio di Trento. Prima ancora dell'apertura dei lavori quali istanze di rinnovamento si avvertivano nella Chiesa piacentina?
«Dalla fine del Quattrocento nell'ambiente piacentino si riflettono esperienze di riforma interna che si consolidano dopo il concilio di Trento secondo un processo comune ad altre zone. Peculiarità di Piacenza è che la diocesi non era suffraganea di una metropoli, ma dipendeva direttamente dalla Sede Apostolica, per cui c'era un senso di autonomia abbastanza inconsueto, con l'accentuazione di percorsi simili, ma non identici a ciò che accade altrove. A titolo esemplificativo, abbiamo il Collegio Alberoni dove gli studi scientifici hanno uno spazio che non si riscontra abitualmente. In campo storiografico, troviamo l'opera fondamentale di Pietro Maria Campi, che valorizza le tradizioni e il culto dei santi locali con approfondimenti che si legano alla storia precedente. Ricordiamo inoltre che in epoca tridentina entrano in diocesi personaggi di rilievo, come il beato Burali d'Arezzo, che svolge un'azione importantissima, raccogliendo gli stimoli di rinnovamento, ma in modo non schematico, originale. Poi il vescovo Filippo Sega, così politicamente rilevante da essere inviato da Roma come diplomatico a Vienna e in Francia».
L'applicazione delle direttive conciliari a Piacenza è stata precoce?
«Ha avuto lo stesso andamento in tutta la Chiesa, tra alti e bassi, senza un andamento lineare. Gli storici, specie francesi e anglosassoni, tendono a non usare i termini di riforma e controriforma, perché riduttivi. C'è stato piuttosto un rinnovamento interno a partire dal periodo che tecnicamente denominiamo medioevo. Un moto complicato, che sovente nasce dal basso, trovando difficoltà e incentivi. Nel primo Cinquecento si consolida, trova un appoggio nel papato fino ad arrivare al concilio di Trento, che codifica e apre altre strade. È una sorta di definizione dell'identità cattolica che contribuisce moltissimo allo slancio successivo. Questo riguarda anche Piacenza dove, tra l'altro, emergono figure molto interessanti di donne che agiscono nell'ambito religioso e nel sociale. Un mondo femminile assolutamente non sullo sfondo. Possiamo citare la Devota della Costa, più avanti Brigida Morello. Ci sono anche donne come Isabella Bresegna, moglie del governatore spagnolo, che cercano di portare avanti idee protestanti, ma questo rimane un discorso elitario e raro».
Ci sono cambiamenti anche nel ruolo della donna nella Chiesa?
«La visione di una repressione nei confronti delle donne e di una loro emarginazione è oggi largamente superata. Molte figure femminili del periodo dimostrano lo spazio che la donna poteva avere in ambito religioso, naturalmente entro i limiti concessi dalla società del tempo. Molto significativo è il caso di Brigida Morello che non solo esprime una spiritualità forte, ma crea un istituto religioso, le orsoline, impegnate nell'educazione delle giovani, in un connubio tra misticismo e operatività nel sociale. La Morello porta avanti la sua fondazione anche con l'appoggio della nobiltà locale. Sono dunque donne che non rimangono chiuse nei monasteri, ma hanno relazioni importanti con la società».
Qual è lo stato delle fonti piacentine per lo studio dell'età moderna?
«È rimasto molto, tanto che considero questo volume per tanti aspetti un punto di partenza che ha anche la funzione di destare curiosità, magari nei giovani, per andare avanti ad approfondire gli spunti emersi. Le fonti sono tante e ben conservate, cosa che non sempre accade»

Anna Anselmi

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