Venerdì 26 Febbraio 2010 - Libertà
Piacenza ricorda Cogni poeta introverso e schivo
A tre anni dalla morte un video da Sottoesposizione e il 6 marzo un'iniziativa all'auditorium della Fondazione
piacenza - A tre anni dalla scomparsa del poeta piacentino Ferdinando Cogni, una bella iniziativa sabato 6 marzo alle 16 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano in via Sant'Eufemia per ricordare un uomo introverso e schivo, abbagliato nella sua attività poetica dalla sintesi d'epigramma. S'intitola "Ricognizioni in terra poetica" e vi prenderanno parte Aldo Acerbi, Gianfranco Asveri, Piergiorgio Bellocchio, Gianfranco Negri, Pier Luigi Peccorini Maggi e Claudio Vela. Coordinerà i lavori Stefano Pareti, leggerà i testi delle poesie di Cogni Mario Peretti. Sarà inoltre proiettato Nüd, un video inedito e ricco di suggestioni realizzato da Roberto Dassoni con Gianfranco Negri e Marco Sacconi, che è visibile da domani al 12 marzo nel "Nevaio" di "Biffi per l'Arte" (Spazio Sottoesposizione).
Un omaggio importante, quello a Cogni, le cui poesie hanno il pregio di essere colte. Si pensi, ad esempio, a Sequenza per la madre oppure al poemetto in sestine in dialetto piacentino I noss caväj, del 1965 (Scheiwiller), e ancora Li éran bái chilà zog (1976) e Un sáicu ‘d bonsáis (1983), raccolta di proverbi e massime edite da Giacomo Moreschi e, ancora, gli epigrammi La piccola città (1996), con una prefazione di Piergiorgio Bellocchio, che sabato ne illustrerà gli aspetti critici e Poesia, sempre a cura di Vanni Scheiwiller. Alcune sue poesie fanno parte del bel volume di Franco Brevini, Poeti dialettali del Novecento, le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo, edito da Einaudi, un'antologia dei maggiori poeti dialettali, e tra questi c'è anche Ferdinando Cogni di cui Brevini scrive che "con vivace inquietudine sperimentale, Cogni si è cimentato con diversi generi poetici", dall'epigramma al proverbio, fino alla lirica vera e propria, "sempre mirando, in primo luogo, a conquistare una distanza dal colore locale". Brevini aggiunge che il risultato più persuasivo resta I noss caväj", un testo in sestine scritto nel 1945, pubblicato solo vent'anni dopo. Secondo Brevini l'opera di Cogni "vive tutta in un'atmosfera vitalistica", come dimostra la scelta di restituire in dialetto Catullo, con un'equilibrata operazione, "in cui la concretezza della parlata popolare - commenta Brevini - non comporta mai lo scadimento della poesia".
Uno dei primi a riconoscere il valore di Cogni fu il nostro Giulio Cattivelli, il quale capì che le sue parole erano filtrate da una forte mediazione letteraria. Camillo Sbarbaro parlava di Cogni come di un uomo che nella sua esistenza "ha cercato soprattutto il conforto delle parole". Il poeta piacentino ha avuto sodalizi importanti con diversi artisti, ha attraversato il secolo scorso. Conobbe Bot a diciott'anni. Ebbe modo di incontrare, durante la guerra, sfollato a Castellarquato, Giacomo Maselli, scultore allievo di Marino Marini. Maselli gli fece un ritratto in bronzo. Poi conobbe Minguzzi, lavorò con Ludovico Mosconi che gli fece un disegno per I noss caväj e una litografia per Catullo, ma è con Gianfranco Asveri che ha avuto rapporti di amicizia molto intensi, autentici e veri (dei quali il pittore piacentino parlerà anch'egli sabato pomeriggio) che hanno prodotto un'opera I gasperini (1991). Cogni era un artista a tutto tondo: scultore, pittore, e poeta anzitutto, in dialetto e in lingua, citato anche dal grande Giorgio Caproni che, su La fiera letteraria, lo accostava a Saba e a Penna.
Le sue poesie assomigliano ad un collage in cui sembrano fondersi insieme con passione l'arte e il mistero, il corpo e l'amicizia, il sesso e la bellezza, i personaggi ricchi nel loro anonimato e la gente di spettacolo, gli scienziati e filosofi (in particolare l'amato Benedetto Croce), il sacro e il profano. Ferdinando Cogni nella sua lunga esistenza non ha arretrato mai, ha tentato di andare sempre oltre, un po' più in là, smantellando ipocrisie, costruzioni fasulle, parole fatte di niente. Ergo, un ricordo più che dovuto.
Mauro Molinaroli