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Martedì 16 Febbraio 2010 - Libertà

Scalabrini, l'arte e gli artisti

In un libro di Arisi la galleria dei missionari fondati dal vescovo

Regala una nuova galleria alla città Ferdinando Arisi. Un centinaio di tele e sculture, corredate da un'approfondita scheda di analisi, di valutazione, di collocazione temporale, di attribuzione; per trentotto quadri ci sono tavole di riproduzione a colori, per tutti gli altri una foto in bianco e nero.
È la galleria dei Padri Scalabriniani quella che Arisi "regala" alla città, attraverso un prezioso volume, edito da Tipleco, che ripercorre la storia della galleria dal Cinquecento fino al Duemila, passando per un Settecento del quale sono rilevanti i Capricci architettonici, nati dalla voglia di un ritorno al mondo classico, e per un Ottocento rappresentato da pittori e scultori piacentini vissuti nell'orbita di Scalabrini, specialmente per il restauro della cattedrale; a completare la rassegna sono le opere del 1926-1927, come i sedici quadri di Vanni Rossi (una Madonna con i quindici misteri del rosario, praticamente un vero e proprio "unicum" per Piacenza), e altre decine di pittori viventi, accolti perché "fanno storia".
Il volume "Scalabrini: l'arte e gli artisti. Galleria dei Padri Scalabriniani" ideato e scritto dal critico piacentino con una presentazione di Silvio Pedrollo è un libro interessante, pubblicato grazie al sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
una galleria di ritratti "Cma l'è bell". Così il popolo piacentino accoglieva tutto giulivo un giovane parroco venuto dalla chiesa di San Bartolomeo a Como e diventato vescovo di Piacenza: così vuole la leggenda e così racconta monsignor Francesco Gregori l'ingresso in città di monsignor Giovanni Battista Scalabrini: "giovane, di bell'aspetto, di statura alta, con un portamento nobile, ieratico, con lo sguardo intelligente, col sorriso buono, attrasse subito le simpatie" si legge nella cronaca dell'evento di monsignor Gregori. E poi, in mezzo a quell'entusiasmo, così strano per l'anima piacentina di solito riottosa ai complimenti ma immediata nei suoi giudizi, l'esclamazione che rimbomba di bocca in bocca: "cma l'è bell". E di bell'aspetto, con il volto rassicurante e l'espressione bonaria appare anche in un ritratto realizzato da Enrico Prati nel 1876, il più antico evidentemente, che il pittore aveva realizzato ispirandosi ad una foto scattata a Roma da De Federicis: quel dipinto, conservato ora nel Collegio Alberoni, raffigura un uomo giovane e solare, in piedi in un ambiente del Vescovado accanto ad un tavolo coperto da un prezioso tappeto a fiori, la mano sinistra su una pila di libri rilegati in pelle, simbolo insieme al servizio in argento per scrivere, della sua dedizione allo studio, dimostrata già negli anni comaschi; sul pensiero e sulla cultura troneggia però il crocifisso. È un ritratto serioso ed ufficiale, quello che Prati fa a monsignor Scalabrini in occasione della sua nomina a vescovo, eppure qualche spazio per una discreta indagine emozionale non manca.
Vent'anni dopo il viso sereno e rilassato del neoeletto vescovo ha qualche ruga in più e una profondità di sguardo, rivelatrice di una maturità conquistata attraverso prove dure e dolorose: nel 1901 Francesco Ghittoni lo dipinge ancora a figura intera, per poi farne una replica per la Casa Generalizia di Roma e un ultimo mezzo busto che ora si trova a Piacenza, all'Istituto Madonna della Bomba. In quest'opera forse, meno ufficiale delle altre, è possibile rintracciare lo sguardo attento ed indagatore del vescovo di Piacenza, gli occhi messi ancora più in evidenza dal volto teso e scavato, incorniciato dai capelli grigi.
Ed è ancora un ritratto del monsignore, questa volta modellato dal ricordo del suo artefice, Alessandro Moretti, quello che campeggia sulla copertina del volume: è uno Scalabrini in cui la spontanea freschezza dei tratti si unisce ad una dolcezza di fondo, quella di un ritratto fatto sì a memoria ma comunque straordinariamente in grado di esprimere la vera personalità del prelato comasco. A ripercorrere la sua vicenda terrena ed in particolare il rapporto che lo legò a numerosi artisti è lo stesso Arisi in due saggi presenti nel volume: "Scalabrini e gli artisti", pubblicato nel 2005 in "Piacenza e Scalabrini, a cento anni dalla morte del grande vescovo" e "La scoperta dell'America commemorata a Piacenza e a Bettola nel 1892", già apparso nelle cronache piacentine nel 2007. A completare il volume è uno studio di Paola Riccardi intitolato "L'iconografia piacentina di Monsignor Scalabrini".
episodi minuti ma importanti Il libro dà voce ad uno Scalabrini che non è solo istituzionale: tra le pagine i lettori non troveranno solamente l'immagine agiografica ed ufficiale del monsignore, ma anche l'uomo di genio ritratto nel suo quotidiano, ripreso in un caleidoscopico collage di episodi minuti ma importanti. Basti pensare alla vicenda rievocata da Arisi proprio all'inizio del suo primo saggio e riguardante quell'Alessandro Moretti figlio di un padre "nomade e fabbricante di sapone" che in Scalabrini trovò più che un benefattore: "vedeva nel vescovo il volto di Dio" conferma il critico d'arte piacentino. Ed ancora è esemplare la storia dello scultore Fedele Toscani, rimasto orfano di padre ed "assistito da monsignor Scalabrini che se l'allevò come un figlio; lo legò a sé per tutta la vita chiamandolo a collaborare nei lavori di restauro del Duomo" continua Arisi che con tratti minuziosi e delicati restituisce a Piacenza l'immagine dello Scalabrini amato dagli artisti e dal popolo.

BETTY PARABOSCHI

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