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Domenica 31 Gennaio 2010 - Libertà

Odori e sapori dell'Appenino si trasformano in cultura

"A teatro con gusto", tra libri e menù dell'entroterra ligure

piacenza - "Non è la cultura popolare che fa la buona cucina. Sono le trattorie". Una verità ineccepibile, che Giovanni Rebora, docente di Storia economica all'università di Genova e storico dell'alimentazione, si sforzava di far capire ad allievi e amici. Però, ogni tanto, la buona cucina non è fatta solo dalla trattorie; talvolta anche il teatro fa la sua parte. E così nascono iniziative come "A teatro con gusto", che vede impegnate tante realtà piacentine (Comune di Piacenza, Teatro Gioco Vita, Teatro Municipale e Fondazione di Piacenza e Vigevano in collaborazione con l'istituto "Raineri-Marcora" e i Sommelier della FISAR che hanno fornito il servizio gratuitamente) nella creazione di occasioni che alla cultura uniscano anche il piacere della buona tavola.
Al Teatro dei Filodrammatici per una volta il palcoscenico non ha ospitato una rappresentazione; non ci sono stati attori, né registi, ma un unico, straordinario banchetto per ricordare chi, come Giovanni Rebora, la cucina l'ha amata davvero, con la curiosità dello studioso e la semplicità del "mangiatore". Ecco allora un incontro, con un titolo invitante come "L'Appennino genovese a tavola: tre piatti invernali tra tradizione e attualità", presentato dal prof. Giancarlo Spezia della Cattolica di Piacenza e Sergio Rossi, che di Rebora è stato l'ultimo allievo, oltre che direttore del Conservatorio delle cucine mediterranee quando lo storico ne era presidente; ecco una sessantina di persone, sedute intorno a tavoli elegantemente imbanditi e un libro di Rebora, Tagli scelti. Scritti di cultura materiale e gusto mediterraneo (Slow Food Editore), presentato da Rossi e Federico Rebora, intenti a leggerne alcuni brani dal palco centrale del "Filo"; e infine una dimostrazione pratica della preparazione della "gattafura", ossia della torta Pasqualina secondo una ricetta che vanta diversi secoli di storia, a cura di Enrichetta Trucco, una "Pireina" proveniente dall'entroterra ligure. Il tutto ha fatto da contorno ad una cena povera negli ingredienti, ma ricca nei piatti; «immaginate di essere ospiti di una famiglia dell'Appennino ligure di cent'anni fa» ha spiegato Rossi ai partecipanti, prima di illustrare il menù, che ha previsto verdure al profumo di salsiccia su polenta scottata e trofiette di castagne con crema di latte e formaggetta dei monti liguri, torta Pasqualina di bietole e prescinseua con fette di mostardella e per finire un dolce di patate al cacao; immancabili sono stati i vini del territorio e persino un nocino "made by Teatro Gioco Vita" versato abbondantemente da un Diego Maj entusiasta e desideroso di far assaggiare ai commensali il frutto del suo "personale" lavoro.
Verrebbe forse da chiedersi cosa c'entri Teatro Gioco Vita con Rebora, cosa abbia a che fare Piacenza con l'ideazione di una cena quasi tutta a base di prodotti tipici della Liguria: basta sfogliare i "Tagli scelti" per vedere una foto raffigurante Rebora in compagnia di Lele Luzzati, il fondatore di Teatro Gioco Vita, alla presentazione di uno spettacolo al Teatro della Tosse; o notare che la maggior parte degli articoli raccolti sono stati pubblicati da "Il Secolo XIX", quotidiano diretto anche da Gaetano Rizzuto prima del suo approdo a "Libertà". Se poi si aggiunge che la ricetta della "gattafura" era nota anche a un piacentino come Ortensio Lando, che nel Cinquecento motivava il nome della torta dicendo che "le gatte volentieri le furano e vaghe ne sono", allora il legame Piacenza-Liguria è chiaro.
Il "Filo" diventa allora il luogo ideale per un "rifugio dell'essere", lo spazio in cui la cucina va in scena e si racconta con pietanze al posto degli attori, sommelier invece di registi; ma lo scopo, quello di inanellare storie, non cambia.

Betty Paraboschi

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