Sabato 23 Gennaio 2010 - Libertà
Dieci anni di violenza e lotta di classe
In Fondazione De Luna e Bellocchio a confronto sugli anni Settanta
piacenza - Cos'è rimasto di quei dieci anni tra storie cupe, violenze, rivolte, terrorismo, settarismo e lotta di classe? Dieci anni - quelli tra il 1969 e il 1979 - che hanno fortemente segnato un'epoca, un percorso, un itinerario gonfio di contraddizioni e di speranze, di conflitti e di sconfitte? Hanno cercato di dare una risposta l'altra sera all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano lo storico Giovanni De Luna, autore di un bel libro, Le ragioni di un decennio - 1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria (Feltrinelli) e Piergiorgio Bellocchio, critico letterario ma anche testimone, coi suoi "Quaderni Piacentini", di una stagione lontana tra la rivolta e l'incanto.
Difficile, con due pezzi da novanta di quel periodo (De Luna e Bellocchio), scindere i ricordi, le testimonianze di ieri dalla storia, perché nel dibattito dell'altra sera il "noi" è venuto fuori, inevitabile e inesorabile; quel "noi" che emerge anche nel libro e rischia di sovrapporsi al lavoro scientifico di De Luna. Gli obiettivi di Le ragioni di un decennio vanno oltre il dato personale, il ricordo, il "come eravamo", per mettere alcuni paletti, per fissare il senso della storia tra tante storie, giuste o sbagliate che siano (state). Per De Luna il libro è stato «un'esigenza metodologica oltre che una sfida personale che non è stato facile raccogliere», ma ancora di più «una scelta che è nata da una condizione personale, una sorta di doppia civitas», che ha visto l'autore nelle vesti di storico e allo stesso tempo di testimone e protagonista di quegli anni. «Il punto di vista dello storico, legato alle fonti - ha detto - si è reso necessario per dare scientificità alla narrazione, distacco dal calore della memoria dei fatti narrati». De Luna ha poi aggiunto di avere posto al testimone e allo storico domande differenti. Mentre al primo ha chiesto di restituirci la percezione di quell'epoca: i film, le canzoni e i ricordi, allo storico ha voluto chiedere di ragionare con la consapevolezza del senno del poi: «Lo storico conosce come la società - ha aggiunto - si sia evoluta dopo quegli anni, e oggi è in grado di portare avanti una riflessione di più ampia portata, che collega in una catena di continui richiami, il passato con il presente».
Piergiorgio Bellocchio ha definito il libro di De Luna «un'opera che si legge con dolore, e ancora di più - ha aggiunto - questo è un libro scritto con dolore. Parte preponderante di questo lavoro è infatti dedicata ai morti della politica: il volume si apre con il funerale del giovane Micicchè nel '75 e si chiude con la morte di Carlo Giuliani nel 2001. Innumerevoli le differenze tra i due, con un solo comune denominatore: l'ingiustizia della loro uccisione. De Luna - ha argomentato Piergiorgio Bellocchio - racconta di uomini che hanno sacrificato la loro vita per una scelta di militanza, per inseguire un ideale di cambiamento della società». Il fondatore dei "Quaderni Piacentini" ha mosso una critica sfumata: «L'opera si caratterizza per essere forse troppo "Torino-centrica", del resto in quegli anni la Fiat e le sue vicende finivano per coincidere con la storia e i drammi dell'Italia intera».
De Luna è storico attento: le sue riflessioni ruotano su alcune parole chiave che sono poi la sintesi del libro: impegno, militanza, violenza e memoria, di quel che eravamo e che oggi non siamo. Un plauso infine alla Fondazione per la bella serata. Mai banale.
Mauro Molinaroli