Mercoledì 30 Dicembre 2009 - Libertà
La tradizione del vischio, un'eredità che risale alle antiche tribù celtiche
un ramo di speranza
La tradizione di non farsi mancare, in attesa nel nuovo anno, un ramo di vischio in casa riporta indietro di millenni, quando nel territorio piacentino (prevalentemente in pianura e sulle colline) erano insediati i Celti, prima ancora dunque della fondazione di Placentia nel 218 a. C., come avamposto romano nei confronti delle riottose tribù barbare.
Proprio il successivo, stretto rapporto tra la civiltà latina e le preesistenti testimonianze del mondo celtico rende spesso difficile capire oggi fino a che punto si attribuisca agli uni quanto invece è derivato dall'incontro e dalla forte influenza degli altri. Un concetto evidenziato da Venceslas Kruta (Ecole pratique des Hautes Etudes della Sorbona di Parigi), il cui contributo sul culto delle acque presso i Celti transalpini in epoca preromana è stato pubblicato nel 19° Quaderno di archeologia dell'Emilia Romagna, che contiene gli atti del convegno "Minerva Medica in Valtrebbia", a cura dell'associazione "La Minerva" di Travo.
Tra gli esempi citati da Kruta c'è anche il valore che i Celti attribuivano al parassita aereo delle piante, all'interno di un più generale culto rivolto ai vegetali. Nella sua "Naturalis historia", Plinio spiegava questa venerazione con le proprietà medicamentose che quelle popolazioni riconoscevano al vischio; per Kruta invece l'analisi dell'arte celtica suggerisce "la chiara prevalenza dell'aspetto simbolico", legato al ciclo universale della vita, sulle eventuali virtù curative, reali o presunte. Discorso analogo vale per le acque.
A. A.