Venerdì 11 Dicembre 2009 - Libertà
Di Meglio e gli adolescenti: così racconto il disagio psichico
«Il mio Benji testardo, sospeso fra tenerezza e rabbia»
piacenza - «Anni fa, per caso ho comprato questo testo, l'ho letto e poi ogni volta che sono passata davanti ad una libreria ho chiesto se avevano copie di questo libro e le ho comprate. Non volevo che altri scoprissero questa storia, volevo essere io a raccontarla».
Con queste parole, Paola Di Meglio descrive il suo incontro con Benji, la stand-up comedy di Claire Dowie che porta in scena con la regìa di Cesare Lievi, spettacolo prodotto da Emilia Romagna Teatro Fondazione, che torna a Piacenza dopo il successo ottenuto nella stagione 2006/2007 e dopo una lunga tournée: in quell'occasione lo spettacolo veniva rappresentato nelle aule di scuola, mentre quest'anno Benji torna sul palcoscenico, quello del Teatro dei Filodrammatici, dove è in scena per le scuole ancora stamane, nell'ambito della rassegna di teatro-scuola Salt'in Banco; l'appuntamento per tutto il pubblico è invece questa sera alle ore 21, per il cartellone Altri Percorsi della stagione Tre per Te, organizzata da Gioco Vita con la direzione artistica di Diego Maj. Tutte le rappresentazioni saranno seguite dall'incontro Il disagio a teatro, a cura del Dipartimento di salute mentale dell'Ausl di Piacenza, nel corso del quale l'attrice protagonista Paola Di Meglio e psichiatri e psicologi del Dipartimento si confronteranno con il pubblico sui temi del disagio e dell'identità.
Benji è la storia del disagio psichico che vive una adolescente, una ragazza come tante, interpretata in scena dalla bravissima Paola Di Meglio: a lei abbiamo chiesto di raccontarci lo spettacolo.
Che cosa l'ha affascinata del testo?
«Anzitutto la scrittura di Claire Dowie, che ha la capacità di scendere a fondo nell'animo umano, per descrivere quell'ossessione dell'anima che è propria degli adolescenti, ma anche di noi adulti: è l'ossessione del vuoto, della solitudine, dell'incomunicabilità. Tutti i gesti di Benji, anche quelli più sconsiderati, hanno lo scopo di abbattere questa barriera, che invece si alza sempre di più portando la ragazza alla schizofrenia. Ho sempre pensato che quello che siamo sia il frutto anche degli incontri che facciamo: in questo senso, sento che il mio lavoro di attrice attraverso questo testo può essere utile per segnalare piccole grandi sofferenze che toccano gli individui, e per aiutare a superarle».
Il personaggio di Benji, così complesso e tormentato, ispira grande tenerezza.
«Benji fa immediatamente tenerezza, per tutto il male che ha ricevuto; ma allo stesso tempo fa rabbia, perché non ha saputo né voluto accettare l'aiuto necessario che le arrivava dagli altri. Se soltanto avesse avuto la forza di chiedere aiuto, Benji si sarebbe salvata. Spero che ai ragazzi, e a tutto il pubblico, arrivi dall'esempio di Benji un incoraggiamento ad esprimersi e a far sentire la voce del proprio disagio».
Cosa prova lei nell'interpretare Benji?
«Un misto di rispetto e paura: ogni volta che indosso il costume di Benji, so che dovrò soffrire la stessa sofferenza del mio personaggio, e nonostante ciò sono contenta di interpretarlo ogni volta. Attraverso Benji, scopro sempre qualcosa di nuovo su di me, in un viaggio nell'anima emozionante e profondo».
In che modo è stata aiutata da Cesare Lievi a entrare nel personaggio?
«Cesare è stato fondamentale. Conosce il mio mondo interiore e ha saputo comporlo nello spettacolo come uno spartito: mi ha chiesto di abbandonarmi alla sua guida e io l'ho fatto con estrema fiducia, aprendomi completamente, senza crogiolarmi sul sentimento ma vivendolo immediatamente, con semplicità e sincerità, per consentire al pubblico di spiare dentro la mia anima. Lievi è un regista cui devo molto professionalmente e umanamente».
Nel corso della tournée di «Benji» ha incontrato migliaia di giovani: quali sono le reazioni più comuni alla visione dello spettacolo?
«Il pubblico dei ragazzi è molto vicino al sentire di Benji: le sue sofferenze, le sue domande, i suoi dubbi appartengono anche al pubblico, che può stabilire con la protagonista un rapporto immediato, non filtrato dalla memoria, come invece avviene per gli adulti. I ragazzi sono molto coinvolti e partecipi, si commuovono e lasciano trapelare le proprie emozioni: è quello che emerge dalle e-mail che gli studenti mi inviano dopo lo spettacolo, che dimostrano grande affetto e partecipazione, oltre alla gratitudine per aver riconosciuto nella storia di Benji la capacità di dare voce a quel "buco nello stomaco" che è anche loro».
Chiara Merli