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Martedì 15 Dicembre 2009 - Libertà

«La mia Tempesta come un sogno»

Parla Andrea De Rosa, regista dello spettacolo con Umberto Orsini

piacenza - Sogno e realtà, magia e divinazione, morte e perdono, filtrati attraverso la potente lente dell'illusione teatrale: questi i grandi temi de La tempesta, uno dei testi più affascinanti di Shakespeare, nella versione diretta dal regista Andrea De Rosa e interpretata da un maestro della nostra scena teatrale come Umberto Orsini. Lo spettacolo, coprodotto da Teatro Stabile di Napoli, Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Eliseo, va in scena al Teatro Municipale di Piacenza stasera e domani alle 21 per la Stagione Tre per Te, organizzata da Teatro Gioco Vita con la direzione artistica di Diego Maj.
Lo spettacolo è una nuova sfida registica per Andrea De Rosa che, con questo allestimento, consolida il suorapporto di collaborazione con Umberto Orsini. In scena accanto a Orsini, Flavio Bonacci, Rino Cassano, Gino De Luca, Francesco Feletti, Carmine Paternoster, Rolando Ravello, Enzo Salomone, Federica Sandrini, Francesco Silvestri, Salvatore Striano. Lo spazio scenico è di Alessandro Ciammarughi (che firma anche le scene e i costumi), Andrea De Rosa e Pasquale Mari (che cura anche le luci), il suono è di Hubert Westkemper, musica di Giorgio Mellone. Umberto Orsini incontrerà il pubblico piacentino nell'ambito del ciclo Ditelo all'attore, a cura di Enrico Marcotti, al Teatro dei Filodrammatici, domani alle 18.30 (anziché come previsto alle 17.30).
Andrea De Rosa, regista tra i più interessanti della scena contemporanea, ora direttore del Teatro Stabile di Napoli, ci ha raccontato la sua Tempesta.
Cosa l'ha portata a questo testo?
«E' stato l'incontro con Orsini a portarmi alla Tempesta. Quando ho lavorato con lui per Molly Sweeney ho avuto l'impressione che Orsini fosse Prospero, per la sua maturità e per il suo rapporto viscerale e simbiotico con il teatro: Orsini è la memoria del nostro teatro, di un teatro che non c'è più».
Quali sono i temi centrali della sua lettura della Tempesta?
«Certamente il rapporto con la fine: sono partito dal dato storico, la Tempesta è l'ultimo testo di Shakespeare, in cui compare la parola "disperazione" come porto che attende il protagonista, dopo che tutto è stato ricomposto. Ciò ha a che fare con la scelta di Prospero di lasciare andare le redini, come estremo gesto di saggezza. Non a caso il mio spettacolo si conclude con un sipario dietro al quale Prospero sparisce».
La dimensione del sogno è la chiave su cui si costruisce l'intero impianto dello spettacolo.
«Quella del sogno è la dimensione centrale del testo, un tema che mi affascina per il suo essere terreno di continua esplorazione scientifica e filosofica, uno dei più interessanti misteri della nostra vita. Nel mio spettacolo in ogni momento c'è un personaggio che dorme, mentre gli altri personaggi appaiono come figure evocate nel suo sognare. E' stata forte l'ispirazione cinematografica, in particolare dei film di David Lynch, in cui è continua la sovrapposizione tra realtà e apparenza».
Quale lavoro ha condotto sui personaggi?
«Ho distinto la provenienza geografica dei personaggi: sull'isola dove si trova il milanese Prospero, naufraga una nave di napoletani, una congerie di persone di diversi livelli sociali, dai re e cortigiani fino a più miseri marinai, la cui stratificazione sociale si riflette nell'uso del dialetto napoletano. In ciò si cela la metafora del naufragio della società napoletana».
Quali progetti intende sviluppare con il Teatro di Napoli?
«Sto cercando di sostenere la tradizione letteraria napoletana, ma soprattutto cerco di dare visibilità a registi e attori della mia generaizone: c'è un gruppo di artisti, nati negli anni Sessanta, che meritano di essere incoraggiati e sostenuti».
Nei suoi spettacoli lei ci ha abituati a soluzioni non convenzionali.
«La mia Tempesta è nuova dal punto di vista drammaturgico: ho lavorato molto, insieme a Orsini, sul testo, che risulta ridotto rispetto all'originale in una nuova costruzione drammaturgica, da cui emerge la mia personale idea del testo shakespeariano».

Chiara Merli

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