Sabato 2 Ottobre 2004 - Libertà
"Riportare la sapienza nelle piazze"
Testimoni del tempo - Il ciclo di incontri è ripreso ieri con una serata speciale in Fondazione. Intensa e spietata meditazione sul senso della vita
Una lettura del Qohélet "dall'effetto svelenante, disintossicante". Questo l'auspicio che Guido Ceronetti, ieri sera in Fondazione, ha rivolto alla platea. Perché "siamo immersi in un mare di tenebrosa menzogna, di tenebrosa impostura. Non c'è una parola ufficiale che sia vera". L'intensa, spietata ed illuminante meditazione sul senso della vita racchiusa nelle pagine del libro di Qohélet, nell'interpretazione del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti, ha aperto all'auditorium S. Eufemia il nuovo ciclo dei Testimoni del tempo. Per Ceronetti - come accennato da Eugenio Gazzola nell'intervento introduttivo - il Qohélet è il libro della vita, un testo pubblicato in ben tre traduzioni, l'ultima delle quali, edita da Adelphi, è stata trasposta drammaturgicamente nello "spettacolo" sui generis che è andato in scena ieri in Santa Margherita. Due uomini e due donne, abbigliati in tuniche orientaleggianti, hanno incatenato a sé l'attenzione della folta platea, in una lettura dal ritmo serrato ed emozionante. Un paravento di maschere di gesso, con i simboli della vanitas (un teschio, una candela che si spegne) e una pila di volumi ("I libri che si fanno sono troppi"), segno di una sapienza comunque insufficiente per riuscire a cogliere il significato dell'ingiustizia e dell'umana disperazione. L'inizio e la fine annunciati dal suono lamentoso di un semplice strumento a fiato. I versi sono declamati da Ceronetti, il basco nero sul capo, seduto a lato del presbiterio dell'ex chiesa, anche in lingua originale e il famoso inizio del capitolo terzo viene proposto sia nella versione del poeta torinese, sia in quella della Vulgata. Gli attori si muovono in tutto lo spazio, rivolgendosi al pubblico dall'alto di un improvvisato pulpito, sedendosi al piano ad accennare il canto del "Veni Creator Spiritus", incespicando come stanche larve umane, giocando coi tarocchi una partita con il destino, inginocchiandosi in preghiera e sporgendo le mani al di là del paravento in cerca di un legame solidale che comunque non c'è. Al termine della lettura, Ceronetti ha invitato il pubblico ad intervenire con impressioni, ad interrogarsi sull'attualità di un testo che, dopo il palcoscenico del Piccolo di Milano, approderà allo Stabile di Torino, con il fine dichiarato di "riportare dopo qualche migliaio di anni la sapienza nelle piazze". Dell'autore di Qohélet non si sa nulla, né il nome, né con esattezza il periodo in cui è vissuto. Ceronetti lo ha definito semplicemente "un illuminato, un vecchio che si diverte a chiamarsi Salomone. Si trucca in camerino e poi getta la corona che si è messo in testa". Chi fosse "resta un bell'enigma da scoprire. Però è un essere vivente, molto umano, molto preoccupato dell'esistenza di tutti i giorni, ma anche ossessionato dalla morte come tutti noi".