Giovedì 26 Novembre 2009 - Libertà
Signorini, pittore ironico
L'artista nelle descrizioni dei critici e degli amici
piacenza - "Il sempre giovanotto, un gran camminatore, di buonissimo appetito, dedito allo scopone nelle sale del circolo artistico fiorentino": così il critico Diego Martelli, mecenate dei macchiaioli, descriveva l'amico Telemaco Signorini, del quale - ha osservato lo storico dell'arte Fernando Mazzocca - restano ritratti scritti, fotografie, ma nessun autoritratto, contrariamente alla tendenza di artisti romantici come Francesco Hayez (che si è raffigurato nei suoi quadri un centinaio di volte) o del campione del realismo, Gustave Courbet, tanto ammirato da Signorini.
Mazzocca ha parlato del pittore e critico fiorentino all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, nell'ambito del ciclo di conferenze organizzate da Davide Gasparotto, per approfondire alcuni dei temi sollecitati dalla mostra Pittura toscana alla Ricci Oddi, in corso nel museo di via San Siro. Mazzocca, docente all'università di Milano, autore di saggi fondamentali, tra i quali quelli raccolti nel volume L'ideale classico, Neri Pozza, è anche curatore principale dell'antologica su Signorini allestita a Palazzo Zabarella a Padova, dove è esposta quella che lo studioso ritiene sia l'opera più rappresentativa dell'artista: L'alzaia.
«Nell'immaginario collettivo un artista viene spesso identificato con l'immagine di un suo lavoro: Hayez con Il bacio, Manet con L'Olympia. Per Signorini fino a poco tempo fa questo non accadeva», ha spiegato Mazzocca. L'alzaia, del 1864, era infatti scomparsa dalla circolazione, per riemergere nel 2003 a un'asta di Sotheby's a Londra. Per conoscere il volto di Signorini, restano - ha evidenziato Mazzocca - un piccolo disegno di Marcellin Desboutin (1864) e un delizioso acquerello (1870) dell'amico Giovanni Boldini. «Si tratta però di immagini private, quasi occasionali».
Da qui la necessità di ricorrere alle testimonianze scritte, attraverso i testi di: Diego Martelli, «un po' caricaturali e vernacolari»; Adriano Cecioni, che ricorda l'ironia del collega, «un'ironia feroce ed efficace più di qualunque conferenza» e «l'arma con la quale Signorini ha reso il più grande servizio alla rivoluzione dell'arte». Al 1911 risale un importante contributo di Ugo Ojetti, dal linguaggio «che ha il sapore di una pagina di Collodi o di Fucini». Al di là di queste voci, resta comunque l'originalissimo autoritratto che Signorini ha affidato allo Zibaldone conservato alla Galleria d'arte moderna di Palazzo Pitti: una sorta di album con i ritagli degli articoli redatti da lui o a lui dedicati, ordinati secondo un montaggio particolare che permette di «ricostruire anche le polemiche che spesso accompagnavano l'esposizione delle sue opere». Sperimentatore infaticabile, Signorini ha considerato chiusa l'esperienza macchiaiola nel 1862, perché «fase demolitrice da superare per approdare ad altri esiti».
Anna Anselmi