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Venerdì 13 Novembre 2009 - Libertà

Il Nordest e le nuove mafie

Riflessioni nell'incontro con gli scrittori Carlotto e Ervas

piacenza - Mai consolatorio, mai devoto alle sole logiche dell'intreccio e al clima del genere, nei lunghi anni della propria produzione, Massimo Carlotto ha presentato l'altra sera all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, davanti al suo pubblico, per altro numeroso, il suo ultimo romanzo, L'amore del bandito, noir numero sei delle seriali vicende dell'Alligatore, ovvero Marco Buratti, investigatore senza licenza, ex cantante di blues, e pure ex galeotto. Lo affiancano, al solito, Max la Memoria, ex leader del movimento studentesco padovano, maestro di documentazione e cultore della cucina regionale veneta, e l'ultrasessantenne contrabbandiere Beniamino Rossini (che era al centro di La terra della mia anima). Ognuno del terzetto ha i suoi riti, le sue passioni, e in virtù di questi solidi e rassicuranti ritorni che funziona il meccanismo seriale, e il lettore ritrova familiarità, che non significa assenza di novità, perché come al solito i personaggi sono aggiornati al loro invecchiare.
«Questa è una parte importante del meccanismo de L'amore del bandito (e/o) - ha spiegato lo scrittore veneto - più piani temporali che attraversano gran parte di questi ultimi cinque anni: dalla misteriosa sparizione, il 17 marzo 2004, di quasi cinquanta chili di stupefacenti presso l'Istituto di medicina legale dell'Università di Padova, fino al 16 maggio scorso, quando si chiude la prima parte di questa che sarà una trilogia, passando per le vicende strazianti del rapimento e della violenza su Sylvie, la donna del vecchio Rossini, sulle cui tracce il terzetto si avvia per scoprire il ritratto impietoso di un Nordest regno di una Gomorra multinazionale e ben integrata con parte dell'economia legale».
Ed è proprio il Nordest, che ha dato modo di riflettere sul tema delle nuove mafie organizzate. Carlotto, insieme a Fulvio Ervas, scrittore veneto che ha presentato il suo ultimo libro Buffalo Bill a Venezia (Marcos y Marcos), registra la fine sostanziale della fase rapine in villa e l'affermazione di un ferreo patto di spartizione fra le varie mafie dell'est: serba, croata, albanese, rumena, kossovara. «L'accordo di cartello - è stato spiegato dai due autori - è entrato in sinergia con quella parte grigia del modello imprenditoriale nordest dove all'evasione fiscale si è sommata, un'area economica legale e illegale che ha perso ogni distinzione reale, dove, di fronte al riciclo degli ingenti guadagni illegali, la fragile etica di commercialisti, avvocati e banche vacilla di fronte all'ingente massa di danaro fluttuante».
Ha aggiunto Carlotto: «Abbiamo perso il senso della misura, non c'è più giornalismo d'inchiesta, sappiamo ogni dettaglio su Cogne, Garlasco e compagnia bella, ma non abbiamo alcun riferimento giornalistico sul ruolo delle mafie e fa sorridere amaramente, all'Alligatore come a noi, vedere per le strade di Padova, di Treviso, le ronde padane che incalzano i più poveri, le ultime ruote di quel meccanismo, illudendosi che cacciando chi dorme sulle panchine si torni ad essere padroni a casa nostra».
Carlotto è scrittore sui generis, più europeo di quanto si possa pensare. L'uso del linguaggio non è mai improprio, l'attenzione all'intreccio narrativo, a tratti sublime. E nel romanzo l'Alligatore si muove come in esilio in mezzo al popolo compulsivo dello "spritz" continuo e degli sniffatori di coca: le sante regole di maschi e femmine nelle lunghe notti venete e italiane. Lo affianca Ervas, in questa serata piacentina, con il suo detective Stucky, ma è Carlotto a prendersi (giustamente) la scena, con l'amore del bandito.

Mauro Molinaroli

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