Venerdì 30 Ottobre 2009 - Libertà
Il critico Eugenio Gazzola parla di "Nervosismi", libro sulla sperimentazione piacentina dagli anni Sessanta ad oggi che verrà presentato il 12 novembre
piacenza - Un libro sull'arte piacentina dagli inizi degli anni Sesanta ai giorni nostri. Non tutta l'arte, beninteso, solo quella d'avanguardia, quella che si caratterizza come sperimentazione, quella che ha cominciato a manifestarsi appunto agli inizi degli anni Sessanta con il Gruppo A ed ha continuato ad occupare uno spazio di nicchia, ma non per questo meno importante, fino ad oggi.
Nervosismi. Vedute sull'arte piacentina (Editrice Berti) è il volume che raccoglie gli scritti che il critico d'arte Eugenio Gazzola ha composto tra il 1992 e il 2009 e che sono stati pubblicati come saggi, presentazioni di mostre, cataloghi. A questi si aggiungono, in coda, due libri: Passato prossimo, pubblicato nel 1994, e Arte 75-95, uscito nel 1996 in occasione della mostra di Palazzo Gotico Passato prossimo e presente. In attesa della presentazione di Nervosismi , il 12 novembre alle 18 all'auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, abbiamo rivolto qualche domanda all'autore.
Perché Nervosismi?
«Lavorare con l'avanguardia significa mantenere alto il livello di attenzone e di tensione. L'arte di cui ho parlato in questi anni è fortemente tesa al confronto con il proprio tempo. Il nervosismo è la condizione di chi sta sempre all'erta, di chi non è mai pacificato nella ricerca artistica. Senza contare poi che un certo nervosismo è una condizione naturale per chi si occupa di espressioni artistiche che raramente ottengono il consenso dei media e delle istituzioni».
Che cosa caratterizza l'innovazione dei linguaggi a Piacenza dagli anni Sessanta in poi?
«L'ambizione è quella di dare, attraverso l'avanguardia piacentina, un ritratto dell'avanguardia italiana al di fuori dei circuiti principali».
Come vive l'avanguardia in provincia?
«A Piacenza è una presenza significativa. Se facciamo un confronto tra la produzione piacentina e quella di altre realtà emiliane vediamo la nostra in grande evidenza. La vicinanza a Milano ha reso questi artisti elastici e ricettivi. Il termine di paragone per loro non è la tradizione locale ma piuttosto il panorama nazionale. E abbiamo artisti che hanno sfiorato le vette dei circuiti internazionali».
Facciamo qualche esempio...
«I nomi che ricorrono più spesso nel libro sono William Xerra, Maurizio Calza, Ugo Locatelli, Romano Bertuzzi. Ecco, Bertuzzi ad esempio viene da un lavoro per niente figurativo. Il suo è un dialogo strettissimo con l'ambiente. Oggi ha scelto la figurazione ma i suoi soggetti sono sempre situazioni di vita cruda. I suoi non sono paesaggi naturalisti, i suoi animali sono campionature scientifiche degli animali dell'appennino. Altri nomi sono Filippo Falaguasta, Giuseppe Ferri, Michele Lombardelli, Mauro Pecorini, Romano Tagliaferri, Giorgio Milani, Milena Prandi e tanti altri, per arrivare ai più giovani Chiara Camoni, Paolo Poggioli. Alla fine del libro c'è una galleria di opere che ritengo significative di un arco di tempo che copre ormai quasi cinquant'anni. Sono lavori di autori che hanno portato l'arte piacentina avanti. Ci sono poi alcune figure di collegamento fra tradizione e innovazione, come Ludovico Mosconi e Paolo Novara».
Come nasce l'avanguardia a Piacenza intorno agli anni Sessanta?
«In realtà l'avanguardia c'è sempre stata. Anche prima di quella data, proporio perchè si definisce come innovazione, come sperimentazione, come superamento della tradizione e come cambiamento del linguaggio artistico consolidato. L'avanguardia è la punta del corpo dell'arte, che diventa di volta in volta tradizione e viene quindi superata. Il primo artista consapevole d'avanguardia a Piacenza è Bot. Poi negli anni Sessanta nasce il Gruppo A (dove A stava appunto per Avanguardia). La sigla è utile per individuare un momento storico più che per identificare in gruppo di artisti che in realtà fu tale solo in un'occasione. Pier Giorgio Armani, Ugo Locatelli, Romano Tagliaferri, Silvano Vescovi e William Xerra non avevano tratti comuni visibili, ma arrivarono comunque ad un'esperienza comune grazie ad un'esigenza che li distingueva rispetto al panorama dell'arte piacentina. Il gruppo esordì con una mostra nel 1965. L'obiettivo di questi autori era quello di dare una svolta all'arte piacentina e mettere a confronto l'arte piacentina con il mondo. E infatti l'avanguardia cerca di espandersi nel mondo, di dissolvere la scena locale in favore di quella mondiale. Da qui la diffusa antipatia dell'establishment culturale verso l'avanguardia, perchè sembra voler distruggere l'esistente. In realtà lo scopo non è distruggere ma superare. La tradizione è un elemento formativo dell'avanguardia: il problema è superarla, e questo crea quel nervosismo di cui si diceva».
Quali sono gli spazi che Piacenza oggi riserva all'avanguardia?
«Ci sono alcuni canali ereditati dal passato prossimo. E' sinitomatico come a dare spazio all'avanguardia siano persone che a loro volta avevano praticato nuovi linguaggi. A Piacenza questi spazi non sono molti, anzi sono essenzialmente due: il Laboratorio delle Arti e Placentia Arte. Poi c'è un piacentino, Paolo Zoni, che ha aperto una galleria a Milano».
E qual è l'attenzione che il pubblico e il mondo culturale piacentino riservano alla sperimentazione?
«L'attenzione sul piano culturale è pressoché zero. Pochissimi piacentini frequentano rassegne come la Biennale di Venezia e altre esposizioni analoghe in Europa. Questo perché c'è molta ignoranza in materia, a livello di establishment culturale e politico. Per creare il nuovo bisogna avere una grande voglia di giocare, bisogna saper irridere se stessi e il mondo perché l'avanguardia è per natura irridente. Il limite degli artisti piacentini è invece di prendersi un po' troppo sul serio».
Il libro si chiude con una quarta di copertina che ritrae tre musicisti per strada. Anche questa è avanguardia?
«Certo. Quella foto, scattata a tre musicisti slavi in via Montagnola, non lontano dalla chiesa delle Benedettine, che suonano in una strada deserta durante un'assolata giornata estiva, è una perfetta metafora di avanguardia».
Angela Marinetti