Lunedì 14 Settembre 2009 - Libertà
Fernanda Pivano, quei ricordi piacentini
ospite dell'Università popolare La scrittrice appena scomparsa presentò il libro "Mostri degli anni Venti" e raccontò dell'"Antologia di S. River"
Nel dicembre 1976 alla Libreria del Corso di Delledonne
La scomparsa di Fernanda Pivano ha suscitato su "Libertà" testimonianze e ricordi. Alle cose dette mi sembra giusto aggiungerne qualcun'altra. Come ricordare la storica prima volta che la Pivano venne a Piacenza, dicembre 1976, 33 anni fa, 26 anni prima che ritornasse invitata dalla Fondazione Piacenza-Vigevano. Era venuta chiamata dall'Università Popolare, associazione attiva sul piano culturale, ma scarsa di mezzi, quanto ne è invece ricca la Fondazione.
Malgrado la povertà con cui operava, l'Università Popolare diede anche in quell'occasione un'ottima prova di sé, come fece in altre circostanze, come quando fece venire fra noi - 1980 - Raffaele Crovi. Non ci riuscì invece con Pinolo Scaglione, l'amico di gioventù di Pavese, il Nuto de "La luna e i falò". Eravamo andati un inverno a Santo Stefano Belbo a invitarlo io e Aldo Brunetti, segretario dell'Università Popolare, ma il Nuto, già anziano e stanco (l'avevo incontrato anni prima - agosto 1971 - nella sua bottega di falegname sulla collina del Salto), disse di no, che non se la sentiva di fare il viaggio.
L'idea di far venire la Pivano a Piacenza era stata mia, e l'occasione era la recente uscita del suo libro "Mostri degli anni Venti", album di memorie e di ritratti di cinque big della letteratura americana, Lee Masters, Faulkner, Fitzgerald, Hemingway e Dorothy Parker. Il volume, pubblicato dal Formichiere di Milano, fu presentato al pomeriggio alla Libreria del Corso di Gianni Delledonne, presente anche l'editore Stefano Jacini.
L'ospite si dimostrò interessata quando le dissi che qualche mese prima avevo visto al nostro Municipale "Piccola Città" di Thornton Wilder nella sua traduzione, proposta da Giancarlo Sbragia con l'integrazione di un gruppo di poesie dell'"Antologia di Spoon River" di Masters, anche queste tradotte da lei.
Dell'"Antologia" parlò la sera durante la conferenza che tenne all'Università Popolare - salone degli Amici dell'Arte, alla Ricci Oddi. Uditorio attento e qualificato, fra cui numerosi giovani. Introduzione di Fernando Ghilardi, rettore dell'Università Popolare, e mia presentazione.
"Quando cominciai a tradurre - racconta poi lei - ero una ragazzina, sempre alle prese con due trecce bionde". Non ha più le trecce, ma i capelli sono sempre biondi, a caschetto. Sorride poco, ma quando sorride è un sorriso dolce, aperto, giovane. Ricorda il curioso particolare con cui l'editore Giulio Einaudi riuscì a beffarsi della censura fascista titolando nel 1943 il libro di epitaffi di Masters "Antologia di S. River", sottintendendo un fantomatico nuovo santo, San River. L'episodio - racconta - glielo aveva riferito Pavese, ma lei deve ammettere che non seppe mai se Pavese - su San River - scherzasse o dicesse sul serio.
Di Pavese parlò poco. La mia impressione fu che i ricordi di Pavese le pesassero, diventassero ingombranti. Che in sostanza pretendesse d'essere vista e considerata, letta e giudicata non come la "cara Fern" di Pavese, ma come la traduttrice e interprete di tanti grandi autori americani.
Ma la sua avventura di traduttrice cominciò proprio da "Spoon River". Il libro glielo aveva passato Pavese, che fu anche probabilmente il primo recensore della traduzione. Lo smilzo volumetto, solo una scelta della vera antologia, uscì in piena guerra, marzo del ‘43; la recensione di Pavese in agosto su "Il Saggiatore".
A momenti come assente e lontana, a momenti come interessata a tutto. Sguardo e tratto dolcemente pacati, ma quando il discorso s'accende, s'accende anche la sua parola che si fa vivace ed anche polemica. Come quando parla della "fatica cane" del mestiere del traduttore, maltrattato dagli editori.
Di quel giorno non posso dimenticare un momento di improvvisa commozione. E' stato durante l'incontro pomeridiano nell'affollata Libreria del Corso. L'ho ricordato anche nel volumetto "Cronache in libertà" curato da Stefano Pareti. La Pivano firmava copie del suo libro, quando una sua estimatrice, Carla Stabielli, le ha presentato da autografare una vecchia copia di "Pianeta Fresco", rivista alternativa del ‘67 pubblicata a Torino, di cui la Pivano era il direttore responsabile e Allen Ginsberg invece ricopriva lo strano e ironico incarico di "direttore irresponsabile".
E' stato allora che dagli occhi le sono scese alcune lacrime. Quella rivista le ricordava tempi felici, quando lavorando a "Pianeta Fresco" aveva conosciuto quello che poi diventò suo marito, dal quale però proprio in quei giorni stava separandosi. Qualche giorno dopo la sua venuta a Piacenza, le ho fatto avere a Milano alcune fotografie dell'incontro il libreria, fra cui una - molto bella - col pianto negli occhi. Mi ha scritto per ringraziarmi e per dirmi "... il fotografo però poteva evitare di fotografarmi proprio mentre stavo piangendo". E aggiungeva: "Ma i fotografi si sa sono un po' sadici. Cosa che tu sicuramente non sei". E si firmava Nanda.
La perdita della "cara Fern" priva la cultura italiana di un nome importante nel campo della traduzione, conoscenza e divulgazione della letteratura americana del ‘900, ma non va dimenticata - proprio in questo momento - l'assoluta importanza che hanno avuto in questo stesso campo Elio Vittorini e Pavese, che per primi e in anni più difficili hanno scoperto e fatti amare in Italia i grandi d'America. Del primo ricordiamo l'antologia "Americana" pur massacrata dalla censura di regime; del secondo il mitico "Moby Dick" del 1932 e gli stupendi saggi, tra cui tre acuti studi sui morti di Spoon River e Lee Masters "poeta dei destini".
di UMBERTO FAVA