Martedì 8 Settembre 2009 - Libertà
Energia e poesia, firmato Ginsberg
Spettacolo-concerto sulle anime della Beat generation: successo
piacenza - Musica, colore, energia, poesia: questi gli ingredienti di I sing the body electric - A concert, lo spettacolo che domenica sera, a Palazzo Farnese, ha concluso la diciottesima edizione di Lultimaprovincia, il festival teatrale organizzato con successo dalla compagnia dei Manicomics.
I sing the body electric, coordinato da Mario Biagini, è il frutto del laboratorio Open Program del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards, ospitato dal 1986 dalla Fondazione Pontedera Teatro, crocevia della sperimentazione e del dialogo tra culture teatrali. Un incontro, quello con Biagini e il suo Laboratorio, che per i Manicomics rappresenta un'opportunità unica, come ci spiega Rolando Tarquini: «La permanenza del gruppo e di Mario Biagini, che eccezionalmente a Piacenza ha tenuto anche un workshop per i giovani, è stata per noi una grandissima scoperta: conoscevamo il valore e l'importanza del lavoro del Workcenter, ma non ci aspettavamo la grande apertura all'incontro che il gruppo ci ha dimostrato; questi artisti si sono avvicinati a noi con grande disponibilità alla condivisione e allo scambio, e le anteprime che hanno portato a Piacenza - nei giorni scorsi è andato in scena I am America - ci hanno mostrato un modo di fare teatro lontano dalle classiche platee teatrali, ci hanno mostrato "il" teatro, scevro di tutto ciò che non è necessario, il teatro fatto dalle persone, per le persone, secondo la grande lezione di Grotowski. Un teatro che trasmette al pubblico una grande energia».
Ed è proprio l'energia la cifra che più colpisce di I sing the body electric: l'energia che sprigiona dai bravissimi attori-cantanti (Itahisa Borges Méndez, Lloyd Bricken, Cinzia Cigna, Davide Curzio, Marina Gregory, Timothy Hopfner, Agnieszka Kazimierska, Felicita Marcelli, Alejandro Tomás Rodriguez, Chrystèle Saint-Louis Augustin, Julia Ulehla), protagonisti di questo spettacolo-concerto, che si presenta come un lavoro di gruppo nel senso più pieno del termine, frutto dell'interazione e della perfetta integrazione delle abilità dei singoli interpreti in un ensemble variegato eppure all'unisono. C'è l'energia che trasmettono i colorati costumi, che riflettono le diverse anime della Beat generation, dei "Figli dei fiori" e dei giovani contestatori. Su tutto, c'è l'energia che scaturisce dai testi poetici di Allen Ginsberg, veri protagonisti del concerto, interpretati in lingua originale in una formula inedita e sorprendente. «Siamo qui per cantare poesia», annuncia Tim, il giovane hippie, in apertura dello spettacolo, dando inizio a una girandola di parole e musiche, un intreccio perfetto di voci, immagini, gesti e pensieri, che colpisce lo spettatore con la forza di un messaggio di rottura e allo stesso tempo con la semplicità di un canto che è espressione immediata e commovente di emozioni, veicolo privilegiato di significati che arrivano diretti al pubblico.
«The way beyond the printed page is music», affermava Ginsberg; e così la musica - affidata in scena al nudo suono di due chitarre acustiche - diventa il ponte tra la poesia e gli spettatori, trascinati nel vortice di questa performance che fa dell'incontro il suo centro pulsante. «La modalità performativa del concerto - spiega Biagini - offre agli attori la possibilità di accogliere e incontrare il pubblico all'interno del territorio condiviso dell'incontro. Permette di diffondere direttamente agli spettatori il dinamismo del senso poetico e dei processi performativi innescati dagli attori. Pone le condizioni affinché alcuni individui riuniti per fare qualcosa possano riconoscere e accoglierne degli altri».
E se è vero che - come afferma Tim in scena - «questa è l'era oscura, l'unico modo di salvarsi è cantare»", allora si può reagire all'incapacità di sentirsi parte di una società che è sempre più "irreale" contrapponendo al vuoto blabla del sistema un grido che è rottura e speranza. Questo è il compito della poesia: «Immaginare ciò che è stato perso, e ciò che può essere trovato».
Chiara Merli